Yemen, l’ultima spiaggia


Christian Elia


Il governo si accorda con la tribù dell’imam al-Awlaki, ritenuto dagli Usa l’uomo di al-Qaeda


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Yemen, l'ultima spiaggia

Un antico adagio recita che il nemico del mio nemico è mio amico. Dopo svariati tentativi di venire a capo della situazione critica nel nord, dove impazzano ancora le bande di ribelli sciiti a cavallo del confine con l'Arabia Saudita, ecco che il presidente yemenita Abdallah Saleh tenta almeno di avere la meglio lungo il fronte meridionale.

Al sud, infatti, dopo anni di calma, è tornata a farsi sentire con veemenza la voce dei secessionisti. Lo Yemen, riunitosi nel 1990, è stato diviso per anni in due repubbliche: quella del Nord, su posizioni occidentali, e quella del Sud, d'ispirazione marxista e vicina all'Unione Sovietica. Finita la Guerra Fredda, le due parti si sono riunificate sotto il pugno di ferro di Saleh. Trent'anni di promesse, da parte del governo centrale di Sana'a, mai mantenute secondo le province del sud. Gravate di tasse ed escluse dal potere, sottoposte alla pressione di milioni di profughi in fuga dalla guerra del Corno d'Africa. Tra di loro, secondo l'intelligence di Saleh e dei suoi alleati statunitensi, si nascondono anche uomini di al-Qaeda. Ecco che Saleh manda le truppe speciali che, mentre cercano i terroristi, sparano sui manifestanti pro-secessione e ne incarcerano i leader.

Dopo l'ultima visita del generale Usa David Petraeus, comandante delle truppe in Afghanistan, dopo aver ricoperto lo stesso ruolo in Iraq, il governo yemenita ha deciso di seguire il suo consiglio: coinvolgere le milizie delle tribù locali per individuare 'gli stranieri', cioè i guerriglieri integralisti, e combatterli in prima persona. Il fatto strano, però, è che il governo si rivolga al clan degli Awlaki.

Lo stesso clan al quale appartiene Anwar al-Awlaki, l'imam che la Cia ritiene la guida spirituale di al-Qaeda nella Penisola Arabica. Un uomo misterioso, nato e cresciuto negli stessi Stati Uniti, dove suo padre aveva vinto una borsa di studio per un master in New Mexico. Al-Awlaki, in possesso anche di passaporto Usa, ha studiato da teologo e ha cominciato a predicare. Tornato in patria, nella provincia di Shawba, si è sempre più radicalizzato.
Al-Awlaki ha ispirato, via mail, la radicalizzazione e gli intenti suicidi di Nidal Malik Hasan, lo psichiatra dell'esercito Usa che ha aperto il fuoco sui commilitoni a Fort Hood uccidendo dodici soldati e un civile, e di Umar Faruk Abdulmutallab, il giovane nigeriano che ha tentato di farsi esplodere sul volo Amsterdam – Detroit il 24 dicembre scorso.

Lo stesso presidente Usa Obama, secondo un'inchiesta del New York Times e una del Washington Post, ha autorizzato i corpi speciali statunitensi ad assassinare al-Awlaki. Una vecchia conoscenza del Pentagono, visto che poche ore dopo gli attentati a New York e Washington dell'11 settembre 2001, venne organizzata una cena nella sede del Dipartimento della Difesa Usa con una serie di imam e di musulmani statunitensi, nel tentativo di recuperare i rapporti dopole improvvide uscite dell'allora presidente Usa George W. Bush.

Ecco che la situazione pare surreale: si vuoel sconfiggere al-Qaeda, con l'aiuto del clan del quale fa parte l'uomo che per gli Usa guida al-Qaeda nel Paese. Saranno almeno mille i ragazzi della tribù impegnati a battere, palmo a palmo, il governatorato di Shawba alla ricerca dei miliziani di al-Qaeda. Secondo fonti del ministero degli Interni di Sana'a, saranno stipendiati e armati, sul modello delle milizie tribali in Iraq. Secondo Saeed Obeid, esperto di terrorismo in Yemen, gli Awlaki fingono di cooperare per togliersi di mezzo i militari. Magari è così, ma quello che ricorderemo, dopo tutti questi anni di guerra al 'terrore', è una gran confusione.

Fonte: PeaceReporter

28 ottobre 2010

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