Vittime civili, chi paga il conto afgano


Emanuele Giordana - Lettera22


Unama e l’ennesimo anno nero per chi ogni giorno deve fare i conti col conflitto. Eppure gli afgani sono più ottimisti nonostante l’escalation militare.


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Vittime civili, chi paga il conto afgano

Anche il 2009 si è concluso in Afghanistan con un aumento delle vittime civili: 2.412 contro le 2.118 dell'anno precedente. Un aumento del 14% che contempla però anche una “buona” notizia. Sono diminuite quelle attribuibili alle forze occidentali o all'esercito afgano mentre l'opposizione armata ha ucciso 530 persone in più rispetto all'anno prima, un aumento del 41%.
La buona novella, contenuta nel ciclico rapporto della missione Onu a Kabul (Unama), è una magra consolazione: aumentano gli attacchi suicidi e le vittime innocenti uccise dai talebani che costituiscono i due terzi delle vittime civili mentre “solo” un terzo (- 28% rispetto al 2008) è da imputare alla Nato, agli americani e all'Ana (esercito afgano). Rimane infine un oscuro 8% di vittime difficilmente attribuibili. Unama, nel suo rapporto quadrimestrale (una misura introdotta dal dimissionario Kai Eide, capo della missione autosospesosi in dicembre con quattro mesi di anticipo sulla fine del mandato) rileva che ciò si deve a un più attento uso della forza da parte governativa. Ma rileva anche che 359 persone sono state uccise durante raid aerei il che costituisce il 61% delle vittime imputabili alla coalizione e che Nato, americani ed esercito afgano hanno condotto una serie di operativi con un uso eccessivo della forza che ha comportato distruzione di proprietà e “insensibilità culturali” specie nei riguardi delle donne. Oltre al fatto che, nota ancora Unama, la vicinanza di caserme in luoghi abitati diventa un inevitabile fattore di rischio per i civili.
Proprio Eide ha fatto il punto sul suo lavoro davanti al Consiglio di sicurezza l'8 gennaio scorso: il suo discorso, largamente ignorato, è invece ricco di spunti. La missione se ostaggio della sola opzione militare – ha detto – fallirà e dunque è necessario investire nel settore civile. Dove? Intanto nella formazione dei “civil servant”, i funzionari civili che adesso saranno sfornati nel numero di 1700 dal National Institute for Management and Administration. Troppo pochi (ne servono 16mila) da un'istituzione con troppi pochi fondi. Inoltre gli stipendi e i budget dei governatori di distretto (le unità amministrativamente più piccole) guadagnano solo 70 dollari al mese e hanno in cassa per trenta giorni…15 dollari. Anche il settore dell'istruzione (forse il più avanzato) resta indietro: se gli allievi di primarie e secondarie sono cresciuti a 7 milioni, ci sono solo 60mila posti nelle università e 20mila nei centri specializzati. L'agricoltura è sottofinanziata in un paese dove l'80% della popolazione è impiegata nel settore primario. Le infrastrutture restano un'area negletta che impedisce alle enormi risorse minerarie di rendere ricco il paese e di aumentare l'occupazione: sistema viario, trasporti e forniture di energia sono le priorità. Il quinto e ultimo punto, ma non per importanza, resta – dice ancora Eide – il processo di pace e riconciliazione nazionale che dovrebbe diventare parte integrante dell'agenda politica.
Tutto si può dire di Eide (la sua gestione di Unama non è esente da critiche) ma non che non abbia fissato punti chiari e apparentemente assenti dall'agenda politica di una comunità internazionale che, seguendo l'impostazione di Obama (più soldati), sembra essersi scordata la priorità di un maggior impegno nel settore civile che appoggi realmente lo sviluppo e l'occupazione.
Resta da segnalare il sondaggio commissionato da Bbc, Abc e Ard sulla percezione degli afgani che, a sorpresa, ha prodotto risultati eclatanti. Nonostante la situazione sembri peggiorare, il sondaggio dice che sette su dieci (71%) pensano che il paese stia andando nella giusta direzione contro il 5% che vi vede un deterioramento. Un salto del 40% rispetto a un anno fa. Il 68% degli intervistati ritiene inoltre positiva la presenza in Afghanistan di truppe americane (era il 63%) e Nato (dal 59 al 62%). Emerge infine che il 90% è favorevole a un governo come l'attuale e solo il 6% vedrebbe con favore un ritorno dei talebani. Il sondaggio (1500 intervistati in tutte le 34 province) dice anche però che il 43% preferirebbe uno stato islamico e il 32% l'attuale forma di democrazia parlamentare.

Fonte: Lettera22 e il manifesto

14 gennaio 2010

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