Usa-Iran, la pace è appesa a un filo


Umberto De Giovannangeli - L'Unità


Lucio Caracciolo. Il Direttore della rivista Limes: "L’incidente nel Golfo non è un fatto episodico. Quello scontro sfiorato conferma invece che pace e guerra tra Usa e Iran sono davvero appese a un filo. Esistono le condizioni di fatto sul terreno perché episodi del genere si ripetono e non sempre è possibile immaginare che siano riportati sotto controllo".


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Usa-Iran, la pace è appesa a un filo

“L’incidente nello stretto di Hormuz è la conferma che pace e guerra tra Stati Uniti e Iran sono appese a un filo”. E’ la valutazione di Lucio Caracciolo, direttore della rivista italiana di geopolitica “Limes”, in questi giorni in edicola e in libreria con un quaderno speciale proprio dedicato a questo esplosivo scenario: “Iran. Guerra o pace”.
Come valutare l’incidente sfiorato nel Golfo Persico tra i Guardiani della Rivoluzione iraniani e la marina militare USA?
“Sarebbe troppo sbrigativo e consolatorio definirlo un fatto episodico. Quello scontro sfiorato conferma invece che pace e guerra tra Usa e Iran sono davvero appese a un filo. Esistono le condizioni di fatto sul terreno perché episodi del genere si ripetono e non sempre è possibile immaginare che siano riportati sotto controllo. Questo vale in particolare per il fronte iracheno e per il Golfo Persico, dove americani e iraniani sono costantemente a contatto. Alcuni hanno pensato che il documento dei servizi segreti americani mettesse una parola definitiva sulla vicenda, in realtà ha semplicemente aperto una finestra di opportunità, ha concesso una pausa che però deve essere riempita di contenuti, e cioè di dialogo, di negoziato, in assenza del quale in qualsiasi momento può succedere qualcosa di irreparabile”.
Vista da Teheran, quale lettura politica può essere data di questo scontro sfiorato?
“Non credo che in questo momento i leader politici iraniani abbiano un qualche interesse a un conflitto con gli americani, salvo alcune frange radicali del regime e in particolare dei Pasdaran che potrebbero vedervi addirittura un’ancora di salvezza. Ritengo però che sia la Guida suprema, Ali Khamenei, sia lo schieramento pragmatico e riformista, vogliano considerare invece di riempire di dialogo questa fase. Naturalmente questo prevede una disponibilità iraniana ed americana che per il momento, a parte la retorica, manca”.
L’incidente nel Golfo Persico avviene alla vigilia di una delicata missione in Medio Oriente di Gorge W. Bush, il cui obiettivo dichiarato è quello di dare seguito alla Conferenza di Annapolis. E’ una “missione impossibile” quella che il Presidente americano sta per intraprendere?
“Temo che il processo di Annapolis, come era abbastanza prevedibile, non stia andando da nessuna parte. E credo anche che il problema di questa opportunità che si è aperta con il documento della Cia sta nel fatto che comunque il presidente americano è talmente debole che anche se desiderasse prendere delle iniziative non ne avrebbe la forza. Inoltre in Israele prevale lo scetticismo intorno alle risultanze di quel famoso rapporto sul nucleare iraniano, nel senso che gli israeliani restano fermamente convinti che Teheran stia effettivamente lavorando ad una bomba atomica, il che vuol dire che Israele si riserva il diritto, in ultima istanza, di agire da solo, il che vuol dire trascinare gli americani in guerra”.
Quanto il riaccendersi dello scontro con Teheran può pesare nella campagna presidenziale iniziata con le primarie negli Usa?
“Sicuramente molto, perché rispetto alle campagne finora in corso nella cosiddetta guerra al terrorismo, Afghanistan e Iraq, il caso iraniano è incommensurabilmente più rilevante e più rischioso. Penso che comunque la prima priorità in politica estera in questo momento, sia del presidente uscente sia dell’entrante, sarà trovare una soluzione alla crisi con l’Iran. Che questa soluzione passi per la guerra o per un negoziato preventivo che la eviti, in ogni caso sarà questa la priorità per la vecchia e la nuova leadership Usa, una priorità ineludibile per chiunque succederà a Gorge W. Bush”.
E per l’Europa?
“Gli europei hanno fortissimi interessi economici e strategici nella regione, anche perché dipendono dal petrolio del Golfo più degli americani. Finora hanno sacrificato interessi commerciali e finanziari per accompagnare l’America sulla strada delle sanzioni al regime dei Pasdaran, sperando così di evitare la guerra. Purtroppo non sempre le sanzioni sono un’alternativa alla guerra. Spesso anzi ne sono il prologo”.

Fonte: L'Unità

8 gennaio 2008

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