Uomini liberi, non detenuti!


Famiglia Cristiana


Il direttore della Caritas, don Francesco Soddu, commenta l’allontanamento dei rifugiati della nave Diciotti dal centro di accoglienza di Rocca di Papa. «Perché stupirsi? Hanno vissuto un calvario, desiderano raggiungere le loro famiglie o i loro parenti». Due di loro sono tornati «e naturalmente sono stati riaccolti»


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«Due dei cinquanta migranti che si sono allontanati mercoledì da Rocca di Papa sono ritornati al Centro “Mondo migliore”. Adesso andranno nella diocesi di Benevento che ha offerto la sua disponibilità per ospitarli». Lo fa sapere don Francesco Soddu, direttore della Caritas Italiana, che commenta la vicenda dei migranti che da due giorni si sono resi irreperibili. Alcuni si sono allontanati dal centro di Rocca di Papa individuato dalla Cei prima di partire verso le diocesi ospitanti, altri hanno fatto perdere le loro tracce una volta arrivati nei vari centri Caritas.

Se l’aspettava questo allontanamento,don Soddu?

«Tutti siamo consapevoli che le persone che arrivano qui, soprattutto gli eritrei, hanno il desiderio manifesto di non restare in Italia. La disponibilità della Cei, d’accordo con il Papa, è stata un segno concreto per dire che la Chiesa c’è. Questo della Diciotti è stato un caso eccezionale nel senso che è lo Stato, secondo i trattati internazionali, a dover intervenire e risolvere la questione. La vicenda era diventata imbarazzante a livello umanitario e non solo».

Non è certo una novità che molti migranti non vogliono restare nel nostro Paese e scappano, se hanno la possibilità, verso Francia, Germania, Norvegia e gli altri paesi europei.

«Appunto. E poi, è sbagliato parlare di fuga, non si tratta di detenuti. Nei protocolli e nelle linee d’intesa con il Viminale è previsto che qualora una di queste persone si dovesse allontanare volontariamente dal centro in cui è ospitata, venga segnalata alle autorità competenti, Questura e Prefettura. E così abbiamo fatto. Il problema va risolto a livello politico».

Il regolamento di Dublino ha reso l’Europa un gigantesco flipper per queste persone. Va cambiato?

«Sì. Secondo questo accordo, la richiesta d’asilo va presentata nel paese di primo approdo che è responsabile di ogni migrante. Ma se i migranti non vogliono restare in Italia, come facciamo a trattenerli? Il governo precedente e quello attuale avrebbero dovuto mettere due paletti con l’Europa: riforma di Dublino e reinsediamento delle persone. Eppure questi argomenti vengono trattati in ritardo e alla fine si fanno pasticci. E poi i nostri politici devono capire che questo fenomeno degli sbarchi è la punta di un iceberg, resta sommerso il mondo africano, tutto quello che sta succedendo laggiù. Le persone che arrivano sono scintille di un fuoco ben acceso. Sappiamo molto bene che cosa si sta perpetrando negli stati africani, si stanno fomentando ingiustizie. Molti paesi occidentali chiudono gli occhi e alcuni proseguono nella loro politica di imperialismo».

C’è chi accusa la chiesa di non aver saputo vigilare con attenzione.

«Falso. La nostra attenzione e vigilanza sono state a 360 gradi. Ripeto: queste persone avevano bisogno di essere accolte e l’Italia di essere liberata da un imbarazzo umanitario e politico internazionale».

Lei ha curato la ricollocazione dei migranti contattando le diocesi sul territorio. È umanamente dispiaciuto di questa fuga?

«Nella parabola del figliol prodigo il padre, pur addolorato perché il figlio se ne va, lo lascia libero perché la paternità e la vicinanza si esercitano sempre nella libertà del prossimo. Non sono rammaricato e non mi sento di avere fallito. Queste persone hanno affrontato tanti pericoli, hanno attraversato il deserto, subito ogni sorta di violenze e soprusi nelle carceri libiche, hanno attraversato il mare e lì si sono giocati con la vita. Qui si giocano un’altra possibilità di vita. È umano. Le invettive e le faziosità lasciamole agli altri».

Ci sono state diocesi che si sono rifiutate di accogliere?

«Tutt’altro. L’unica difficoltà che avuto è stata quella di non essere riuscito ad accontentare tutte le diocesi che fin da subito hanno dato la loro disponibilità. Non sono stupito, anzi. Dall’assegnazione ho escluso due regioni, Sicilia e Sardegna, perché avevo messo in conto il rischio che queste persone volessero allontanarsi e francamente in due isole circondate dal mare avremmo aggiunto problemi a problemi. Cosa vuole che siano 100 migranti a fronte dei 26mila che abbiamo già accolto attraverso canali umanitari e varie iniziative? La Chiesa italiana, da anni, è in prima linea e cerca di fare quel che può concretamente».

Papa Francesco ha voluto far sentire la sua vicinanza a queste persone inviando a Rocca di Papa il suo elemosiniere, il cardinale Konrad Krajewski.

«È stata una festa bellissima, un incontro davvero semplice e commovente. Mi ha colpito una frase che monsignor Krajewski ha detto durante l’incontro, cioé che a Roma nessuno muore di fame a meno che non lo voglia egli stesso. Ecco, nessuno dei migranti della Diciotti è stato messo in condizioni di criticità o pericolo. Chi ha scelto di andarsene lo ha fatto volontariamente».

Antonio Sanfrancesco

Famiglia Cristiana

7 settembre 2018

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