Una Tavola comune della pace e della solidarietà
Tavola della pace
L’intervento con cui Flavio Lotti, il 13 gennaio 1996, propone la costituzione della Tavola della pace.
Pubblichiamo l’intervento con cui Flavio Lotti, il 13 gennaio 1996, propone la costituzione della Tavola della pace
“Una Tavola Comune della pace e della solidarietà”
Vi ringraziamo per aver accettato questo invito. Sappiamo che non è facile arrivare ad Assisi per una giornata di lavoro come questa, ma abbiamo creduto utile ripartire (anche simbolicamente) dal luogo in cui ci siamo lasciati lo scorso 24 settembre. E, in particolare, da questo convento che è uno dei luoghi-simbolo per eccellenza del dialogo e dell’impegno per la pace.
Le ragioni di questo incontro sono ormai note. Abbiamo sentito il dovere di non archiviare le iniziative dello scorso autunno senza prima aver avviato una riflessione politica su quell’esperienza. Il poco tempo a nostra disposizione forse non ci consentirà di approfondire la discussione come vorremmo. Ma l’obiettivo principale di questo incontro è di verificare l’interesse, la possibilità di dare un futuro, uno sbocco alle idee e alle proposte che sono state al centro del Forum, dell’Assemblea dell’Onu dei popoli, della marcia e poi delle iniziative nelle scuole.
Che fine fanno quelle idee e quelle proposte? Come ci impegniamo a portarle avanti? Siamo disponibili a farlo con un progetto comune? E’ a queste domande che, noi crediamo, dobbiamo rispondere oggi. Cercando di essere franchi e concreti.
Come il 24 settembre, oggi sono presenti organizzazioni che hanno strutture e finalità molto diverse: associazioni nazionali e locali, comuni e province, gruppi e centri studi. Perchè questa diversità non generi confusione e non sia di ostacolo alla nostra discussione è necessario che ciascuno sappia riconoscere e rispettare il diverso ruolo di ogni soggetto. Del resto, è proprio grazie a questa feconda convergenza di organizzazioni diverse che le nostre iniziative di settembre hanno avuto successo.
Un’iniziativa complessa e articolata come quella che abbiamo realizzato lo scorso anno stimola numerosissime considerazioni, che oggi non abbiamo il tempo di sviluppare. Per questo ho pensato di limitare la mia introduzione a tre riflessioni su altrettante proposte.
La prima sull’Onu e l’Italia.
La seconda sull’Assemblea dell’Onu dei popoli
La terza sulla proposta della “Tavola comune della pace e della solidarietà”
1. La scelta di dedicare una marcia come la Perugia/Assisi all’Onu ha suscitato in alcuni delle perplessità perchè il tema è -almeno in apparenza- lontanissimo dai problemi reali del nostro paese. Altra cosa, per esempio, sarebbe stato parlare dell’ex Jugoslavia o dell’immigrazione. Altri invece hanno considerato questa scelta un fatto contingente, legato alle celebrazioni del 50° anniversario dell’Onu, e quindi per questo ora esaurito. Io credo invece che il nostro impegno sull’Onu (per il suo rafforzamento e democratizzazione) debba invece essere riconfermato con un investimento di lungo periodo. Se non ci crediamo è bene discuterne. L’Onu è l’unica istituzione globale su cui possiamo puntare per cercare di contrastare il risorgere dei nazionalismi e affrontare i grandi problemi planetari aperti, dalla guerra, alla fame, all’ambiente.
Il problema è casomai avere una piena consapevolezza delle difficoltà e tradurre questo nostro impegno in tappe e obiettivi concreti e comprensibili. Sono passate le celebrazioni ma il futuro dell’Onu diventa ogni giorno più incerto. Nonostante i solenni pronunciamenti assunti a New York lo scorso ottobre (vedi la dichiarazione approvata dall’Assemblea Generale), nessun impegno concreto è stato deciso per risolvere in tempi rapidi la crisi finanziaria. Nessuna seria decisione è stata assunta per togliere l’Onu dalla palude in cui rischia di finire i suoi giorni. Anzi. La scelta delle grandi potenze di sostituire l’Onu con la Nato in Bosnia, proprio nel momento in cui era necessaria un’azione di peacekeeping, sembra specchio di un orientamento preoccupante: teso a relegare l’Onu a un ruolo sempre più marginale e “accessorio” nella politica mondiale.
Cambiare e potenziare l’Onu, costruire quello che abbiamo chiamato “l’Onu dei popoli” a rappresentare l’idea di un governo mondiale democratico, potrebbe essere dunque considerata ancora un’utopia. Ma, primo: non è vero che tutto è bloccato perché le forze che spingono per il cambiamento non sono poche anche tra i governi (a partire dallo stesso Boutros Boutros Ghali, Roma 8 gennaio) e la loro azione è destinata a lasciare il segno (vedi Accordi di Dayton, int. Papisca); come abbiamo sempre detto, molto possiamo fare per cominciare a cambiare l’atteggiamento del nostro paese. La marcia ha dimostrato che, nonostante questo gran parlare dell’Onu dalla guerra del Golfo, continua ad esistere una grande ignoranza e approssimazione sia tra la gente (e tra gli stessi pacifisti) che tra i politici. Da un lato io credo quindi noi dobbiamo fare un investimento culturale moltiplicando le iniziative nelle scuole (vedi i materiali disponibili) e le stesse attività di formazione di chi lavora per la pace. Dall’altro è necessario saldare la questione della democratizzazione dell’Onu alla democratizzazione della politica estera italiana, della definizione di una nuova Onu alla definizione di una nuova politica estera e della difesa del nostro paese.
Stare dalla parte dell’Onu -abbiamo detto più volte- vuol dire innanzitutto darsi una politica estera e della difesa coerente non con dei presunti “interessi nazionali” ma con i principi e gli obiettivi della stessa carta delle Nazioni Unite e del diritto che ha generato. Sotto questo profilo i segnali che ci giungono sono preoccupanti. Non solo perché dobbiamo continuamente registrare il profondo disinteresse di questa classe politica nazionale (vedi Marcia per la pace/Onu: tutto sommato la stampa gli ha dedicato più attenzione dei politici) ma anche e soprattutto perché sotto questo irresponsabile silenzio stanno avanzando -anche nel campo dell’Ulivo- tendenze cosiddette “di governo” allarmanti.
In questi giorni si torna a riparlare con insistenza del cambiamento della Costituzione. Ma in discussione non c’è solo la forma dello Stato. C’è il rapporto tra l’Italia e gli altri, il rapporto tra l’Italia e la guerra, una visione del ruolo dell’Italia nel mondo: dall’immigrazione alla cooperazione, dall’Onu all’Europa, dall’intervento nell’ex Jugoslavia al nuovo modello di difesa. Intervenendo su ciascuno di questi problemi con analisi e proposte spesso estremamente ragionevoli, le nostre organizzazioni riescono di tanto in tanto a far sentire la propria voce (ex Jugoslavia, immigrazione, cooperazione…). Ma, ciò che io credo dobbiamo fare ora, è unire le nostre specifiche esperienze e competenze per far emergere la nostra visione complessiva del ruolo dell’Italia nel mondo. Penso, per esempio, che potremmo organizzare un appuntamento, un’assemblea, una convenzione di tutti coloro che, pur seguendo un problema particolare, sono impegnati ad affermare un nuovo ruolo dell’Italia nel mondo, a partire dall’ex Jugoslavia (che è la partita più grossa e delicata) fino all’Onu. Penso ad un’iniziativa da costruire assieme, capace di richiamare l’attenzione dei media e della politica. Penso ad un’occasione per chiedere con forza il pieno riconoscimento del ruolo che in questi campi viene svolto dalla società civile, dagli enti locali, dalle università (estendere i confini della politica estera ai nuovi soggetti della società civile e alle istituzioni locali).
2. La seconda proposta che vi sottopongo è quella di organizzare una seconda Assemblea dell’Onu dei popoli, sul modello di quella già realizzata. Ne abbiamo già parlato con molti di voi e so che c’è molta disponibilità. Non credo dunque di dover dire molto. L’Assemblea dell’Onu dei popoli non ha rappresentato solo un momento di riflessione sull’Onu, i suoi limiti, contraddizioni e responsabilità. E’ stata anche una grande occasione di incontro con il resto del mondo, i problemi, i drammi, le aspirazioni, l’impegno di gente come noi.
Le centinaia di iniziative che si sono svolte in tutt’Italia in quell’occasione attraverso il meccanismo dell’adozione (alcuni dati: 223 enti locali disponibili all’adozione in pochi mesi, nonostante le elezioni, nonostante l’estate, nonostante la nostra inesperienza – 139 popoli invitati – 132 persone arrivate a rappresentare 82 paesi, adottate da 73 comuni, 31 province, 8 regioni, 8 associazioni, 12 Coordinamento) sono state un momento importante di apertura al mondo, se vogliamo di “educazione alla mondialità” in una fase della vita italiana contrassegnata da forti spinte alla chiusura.
Io credo che, se lo vogliamo, abbiamo la possibilità di ripetere quell’esperienza, facendo tesoro degli errori commessi, estendendola a tante altre città, associazioni e popoli, arricchendola di contributi qualificati come potrebbero essere i rappresentanti dei principali network internazionali delle organizzazioni non governative, della società civile, ampliando gli stessi spazi di incontro e di dialogo tra i popoli. Sono certo che dalla discussione potranno emergere indicazioni importanti.
Infine, la tavola comune della pace e della solidarietà. L’organizzazione delle iniziative dell’anno scorso ci ha ulteriormente convinto della necessità di riflettere sul nostro modo di lavorare per la pace. La grande partecipazione alla Marcia (registrate 427 adesioni di enti locali e 253 associazioni) rivela la crescita di una sensibilità diffusa. Ma se guardiamo più da vicino la realtà scopriamo anche un grande disorientamento culturale e politico dettato sì da un clima più generale ma anche dalla mancanza di un punto di riferimento in grado di sviluppare un confronto e degli orientamenti sui grandi nodi aperti, in grado di provocare e gestire il confronto con la politica e le istituzioni nazionali e internazionali.
Io credo che al movimento per la pace in Italia manchi oggi -come nel 1961 ai tempi della prima Perugia/Assisi- un punto di incontro, un foro di riferimento, una sede di raccordo dei tanti fili che ciascuno di noi sta seguendo nel suo impegno associativo. Non una nuova organizzazione ma un luogo di confronto, di verifica e di progettazione comune, attenta soprattutto a quegli aspetti culturali e politici in cui ciascuno di noi è insufficiente.
Gli enti locali hanno oggi un riferimento nel Coordinamento nazionale degli Enti locali per la pace che si è dato un programma di sempre maggiore apertura alla collaborazione con l’associazionismo e il volontariato. Ma le associazioni, i gruppi, i centri di ricerca da tempo non hanno più un momento di raccordo se non su singole tematiche. Di tentativi fatti in passato per colmare questo vuoto ne sono falliti diversi. Ma la spinta alla frammentazione resta molto forte. Eppure io credo che dovremmo avere il coraggio di tentare ancora. L’anno scorso abbiamo auspicato un nuovo inizio per l’Onu. Possiamo oggi dare impulso ad un nuovo inizio del nostro lavoro comune? E’ possibile tentare di costruire una tavola comune della pace e della solidarietà senza che prevalgano paure o gelosie, come purtroppo è accaduto spesso in passato?
All’indomani della prima Perugia/Assisi, nacque una Consulta italiana per la pace che operò per diversi anni. Oggi dipende da noi. Ci troviamo a lavorare in una situazione politica e sociale particolarmente confusa e difficile. Ma non per questo dobbiamo avere paura di rischiare un nuovo cammino comune. Del resto lo abbiamo già iniziato.
Flavio Lotti
Coordinatore del Coordinamento per il 50° anniversario dell’Onu
Assisi, 13 gennaio 1996
L’intervento è stato pronunciato il 13 gennaio 1996 in apertura del Seminario nazionale del Coordinamento per il 50° anniversario dell’Onu intitolato “Una Tavola comune della Pace e della Solidarietà” che si è svolto ad Assisi presso il Sacro Convento di San Francesco.