Una guerra lunga 60 anni
Achille Rossi
Colloquio con Ali Rashid, ex deputato italiano. I palestinesi sono stati sottoposti a massacri così crudeli anche quando non c’erano né Hamas né l’Olp perché Israele ha preteso di costruire uno stato in cui cittadinanza e diritti sono condizionati all’appartenenza religiosa.
“Desolante, inenarrabile”. Può essere descritta così la situazione a Gaza dopo l’aggressione israeliana secondo Ali Rashid, ex parlamentare italiano, che insieme a Moni Ovadia ha preso l’iniziativa di costituire dei comitati popolari per promuovere la pace in Palestina.
“Da due anni questa piccola striscia di terra, tra le più popolate al mondo, si trova in una situazione di completo assedio e di totale crisi umana. Una vera prigione a cielo aperto dove mancava tutto e lo svolgimento della vita quotidiana era quasi impossibile. Come ha testimoniato l’organizzazione dell’Onu per i rifugiati, non c’era latte per i bambini, cibo per la gente, medicine per gli anziani e i malati. Israele razionava l’acqua, l’elettricità, i farmaci, per costringere i palestinesi a una “cura dimagrante”, come ha dichiarato sarcasticamente un ministro israeliano. Dopo due anni di questo assedio arriva un’aggressione da parte di uno degli eserciti più agguerriti al mondo, che provoca una carneficina in questa striscia di terra dove la gente vive ammucchiata per mancanza di spazio. E il 70% della popolazione di Gaza è costituito dagli ex abitanti delle zone occupate da Israele nel 1948”.
Si rattrista Ali perché l’opinione pubblica occidentale ha la memoria corta: “Questo non è un conflitto che inizia col lancio dei missili di Hamas, ma dura da sessant’anni. Il popolo palestinese è stato sottoposto a massacri così crudeli anche quando non c’erano né Hamas né l’Olp, perché Israele ha preteso costruire, in una terra sacra a tutti, uno stato in cui cittadinanza e diritti sono condizionati all’appartenenza religiosa. L’unica colpa dei palestinesi è stata quella di non essere ebrei. Così sono stati invasi, espulsi dalla loro terra, umiliati nella loro umanità per sessant’anni”.
Ali Rashid riconosce che certe volte nelle loro reazioni a una situazione così violenta e ingiusta i palestinesi possono aver fatto scelte sbagliate, ma invita a guardare al cuore del problema: “Non si può trasformare questa tragedia in una questione tecnica. Solo nella verità possiamo aiutare entrambi i popoli a trovare una via d’uscita. Sostenere le tesi d’Israele significa favorire le tendenze più estremiste e violente della società israeliana”.
In Israele qualcuno ha pubblicamente accusato l’esercito di aver commesso crimini di guerra. “I rappresentanti dell’Onu hanno sostenuto che durante l’attacco israeliano non c’era nessun luogo sicuro per i bambini. Le testimonianze rivelano che sono stati perpetrati crimini di guerra, che sono state usate armi illegali. Come si fa a sparare in maniera così sistematica contro un popolo di un milione e 600 mila persone, in una striscia di terra lunga 35 chilometri e larga 8, completamente controllata dagli israeliani dal cielo, dalla terra e dal mare?”.
L’operazione di Gaza ha rafforzato il consenso intorno ad Hamas? Quali sono i rapporti fra Hamas e l’Autorità palestinese? “Negli ultimi quindici anni l’Autorità nazionale palestinese ha perso credibilità giorno dopo giorno a causa della politica aggressiva israeliana che l’ha indebolita e ridicolizzata. La mancata applicazione degli accordi di Oslo, la continua repressione israeliana, l’aumento delle colonie, la costruzione del muro, i posti di blocco, la violazione quotidiana di ogni diritto, hanno fatto perdere fiducia negli accordi di pace e in una Autorità ormai priva di autorevolezza e hanno spinto i palestinesi nelle mani di Hamas, che oggi è più forte di prima e non solo in Palestina”.
Cosa intende dire? “Hamas è diventato un punto di riferimento in larga parte del mondo sunnita, di cui gode la fiducia e riscuote il consenso. La complicità irresponsabile dell’Occidente ha fatto allargare il fossato fra Hamas e l’Autorità palestinese, per cui il conflitto ha assunto un connotato religioso più palpabile che è fonte di preoccupazione. Faccio un appello accorato all’opinione pubblica occidentale perché si accorga della sconfinata sofferenza del popolo palestinese”.
Chiediamo ad Ali Rashid se ci sia un rapporto diretto fra Hamas e il governo iraniano. “La saldatura fra il mondo sunnita, guidato da Hamas, e quello sciita, guidato da Hezbollah e dall’Iran, è l’elemento di maggiore novità che sfugge a molti osservatori. Entrambi questi universi si sentono minacciati dalle mire egemoniche dell’Occidente incarnate dalla politica israeliana. Per loro è inammissibile che l’assetto geopolitico del nuovo Medio Oriente e le sue scelte strategiche siano condizionati dalla centralità di Israele e degli Stati Uniti. È abbastanza chiaro per tutti cosa hanno portato la guerra in Afghanistan, quella contro l’Iraq, o cosa ha significato Israele per il popolo palestinese. La violenza usata dagli Usa in giro per il mondo non ha risolto niente, ma ha prodotto l’effetto contrario”.
Quali scenari futuri si aprono per il popolo palestinese dopo questi ultimi eventi? Ha ancora senso parlare di uno stato palestinese? “Guardando oggi una cartina geografica è facile capire che, se le cose rimanessero così, non c’è neanche il luogo per creare uno stato palestinese. Qualcuno parla addirittura di creare uno stato binazionale per tutti gli abitanti del territorio storico della Palestina, senza discriminazione razziale e religiosa. È un obiettivo nobile da prendere seriamente in considerazione, ma temo che non ci siano le condizioni politiche per realizzarlo. Sono convinto che in Medio Oriente non ci sia un popolo in più, ma uno stato in meno e che occorra tornare alla legalità internazionale sancita dalle Nazioni Unite e all’idea di due popoli due stati”.
Ma Ali Rashid teme che l’espressione possa essere troppo generica e spiega quale stato vorrebbe veder nascere: “Le risoluzioni dell’Onu impongono a Israele di ritirarsi dai territori occupati nel 1967. Non lo dico solo io che sono palestinese, ma lo ha ribadito il presidente francese nel suo discorso davanti alla Knesset: se Israele non si ritira entro i confini del ’67, se non smantella tutte le colonie che ha costruito abusivamente contro il diritto internazionale, se non si trova una soluzione giusta per la questione di Gerusalemme e dei rifugiati, non ci sarà sicurezza nella regione, perché resteranno aperti tutti i motivi di conflitto. Non si può risolvere il problema facendo finta di non vedere il popolo palestinese, come ha fatto per sessant’anni la comunità internazionale”.
Quali spazi di manovra ha il mediatore di Obama, Mitchell, tra l’intransigenza di Hamas e quella dei dirigenti israeliani? “Non parlerei di intransigenza di Hamas, che chiede cose del tutto legittime: la fine dell’assedio di Gaza, il riconoscimento delle istituzioni democratiche in Palestina, una giusta soluzione politica per la questione palestinese. Israele invece, e anche alcuni governi della regione che hanno problemi con le forze di matrice islamistica, scelgono la repressione e tentano di rovesciare militarmente il governo di Hamas”.
Ali Rashid non risparmia critiche a paesi come l’Egitto, l’Arabia Saudita, la Giordania, dove vige la dittatura e parallelamente cresce il movimento islamico. “Quando metti fuori legge i partiti, alla gente rimangono solo le moschee”. Ma la preoccupazione dell’intellettuale palestinese è rivolta soprattutto alla leadership israeliana: “Con la presidenza Obama nutro qualche speranza rispetto a un ruolo americano diverso dal passato, mentre sono sfiduciato rispetto alla politica israeliana, che è sempre più sbilanciata verso una destra aggressiva che concepisce la pace come continuazione della guerra con altri mezzi. Temo che Israele trascini gli Stati Uniti e l’Occidente in un’altra guerra sbagliata contro l’Iran o l’Afghanistan”.
Come giudica l’atteggiamento dell’opinione pubblica italiana sulla vicenda di Gaza? “I mezzi di informazione si sono allineati su una posizione filoisraeliana, ingenerando una percezione sbagliata del problema nell’opinione pubblica. Nonostante questo bombardamento quotidiano di disinformazione, una larga maggioranza di italiani sostiene le rivendicazioni del popolo palestinese. Purtroppo l’irrompere sulla scena di un movimento di matrice islamica come Hamas, che usa un linguaggio incomprensibile in una società occidentale, e le manifestazioni di immigrati di origine araba, che hanno pochi strumenti per capire le società in cui vivono, aumentano la distanza culturale con l’opinione pubblica”.
Per questo Ali Rachid ha dato vita a comitati che siano veri luoghi di dialogo e di informazione corretta sulla questione israelo-palestinese: “Non mi rivolgo più alle forze politiche, ma ai cittadini, alla gente normale, perché sono convinto che nella striscia di Gaza passi una linea di confronto e di scontro che separa i nostri mondi. Tutti i mali del nostro tempo sono concentrati là e dobbiamo prendere in mano la questione prima che sia troppo tardi”.
Fonte: altrapagina.it
Febbraio 2006