Un osservatorio sul razzismo
Roberto Natale, Giunta Federazione Nazionale Stampa Italiana
Gad Lerner mette in fila con preoccupazione quelli che chiama “scricchiolii della pacifica convivenza” e invita i Presidenti delle Camere a promuovere un osservatorio parlamentare sul razzismo.
Gad Lerner mette in fila con preoccupazione quelli che chiama “scricchiolii della pacifica convivenza” e invita i Presidenti delle Camere a promuovere un osservatorio parlamentare sul razzismo. Sono scricchiolii che fanno un rumore molto simile a quelli che da tempo si avvertono nell’informazione. Non sarebbe giusto né corrispondente al vero caricare tutte le colpe sulle spalle di noi giornalisti: se nella società italiana ha preso piede e ha fatto fortuna “l’imprenditoria della paura”, ci sono responsabilità evidenti di partiti che sull’allarme per l’immigrazione hanno prosperato e di altri che ad esso si sono accodati in modo subalterno. Ma chiamarsi fuori non ci è consentito: certe campagne politiche hanno potuto dilagare non solo per il consenso esplicito di alcuni giornali che se ne sono fatti portavoce, ma perché la gran parte dell’informazione – anche quella nelle intenzioni distante da strumentalizzazioni sul tema – ha accettato acriticamente l’enfasi che veniva posta sui problemi della sicurezza, dunque una ben precisa gerarchia delle notizie e un determinato tipo di linguaggio.
Uno “scricchiolio” particolarmente preoccupante lo avevamo avvertito nel dicembre 2006, subito dopo la strage di Erba, quando il tunisino Azouz Marzouk era stato per ventiquattro ore unanimemente indicato come responsabile del massacro. E altri rumori sinistri li abbiamo sentiti poi nei giorni del delitto della metropolitana di Roma, nei toni della caccia alla giovanissima rumena che aveva ucciso Vanessa Russo, o dopo l’omicidio della signora Reggiani nei pressi della stazione di Tor di Quinto. Rumori di una informazione che faceva un mestiere diverso, che si trasformava in megafono di slogan altrui, che tralasciava la verifica dei fatti, che dimenticava di dare lo stesso risalto a episodi egualmente tragici in cui però italiani e immigrati interpretavano a parti rovesciate i ruoli di vittima e di carnefice.
Dal disagio diffuso per questi comportamenti è nata la cosiddetta “Carta di Roma”, cioè il protocollo deontologico sull’informazione in materia di migranti, rifugiati, vittime della tratta, richiedenti asilo. Sindacato e Ordine ci hanno lavorato per un anno, su sollecitazione dell’Alto Commissariato Onu per i rifugiati che proprio dopo Erba aveva chiesto agli organismi di categoria del giornalismo italiano se il razzismo di quella prima reazione alla notizia della strage non meritasse un approfondimento autocritico. Oggi la Carta, approvata tanto dalla Federazione della Stampa quanto dall’Ordine nazionale dei Giornalisti e inviata ai direttori di testata e ai comitati di redazione, sta a pieno titolo nella cassetta degli attrezzi dei quali ogni giornalista può servirsi nel lavoro quotidiano. Il testo non chiede una informazione “militante”. Chiede però di rispettare la “verità sostanziale dei fatti osservati” che è alla base della legge professionale, di usare termini giuridicamente appropriati (per questo la Carta fornisce anche un piccolo glossario), di evitare allarmi ingiustificati e comportamenti superficiali e non corretti, di saper guardare anche alle cause dei fenomeni. E soprattutto si propone di lavorare su due terreni essenziali per tradurre nella pratica di ogni giorno questi principi generali. Il primo è quello della formazione: i temi dell’informazione sui migranti entreranno a far parte dei programmi d’esame dei futuri giornalisti e saranno oggetto di iniziative di aggiornamento professionale. L’altro è il monitoraggio dei nostri giornali: è stata decisa la costituzione di un Osservatorio indipendente, che verrà presentato entro la fine dell’anno, da realizzare insieme a facoltà universitarie e ad altri soggetti pubblici e privati, così da avere periodicamente un rapporto scientificamente solido per capire cosa ci sia da migliorare nella nostra informazione sul tema e mettere a confronto sui risultati i responsabili dei giornali e le organizzazioni della società italiana che sull’immigrazione operano.
Non vogliamo che il testo rimanga nei cassetti delle nostre redazioni. Documenti professionali nobili ma ininfluenti non servono: servono azioni concrete. E’ il momento in cui le rappresentanze del giornalismo italiano devono far sentire di aver chiara la loro responsabilità sociale. Ed il lavoro del nostro osservatorio potrà forse tornare utile anche a chi, nelle istituzioni, guarda con crescente preoccupazione al rischio razzismo.
Fonte: Articolo21
05 ottobre 2008