“Un nuovo corso per il popolo libico”


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Il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, in occasione della sua visita ufficiale in Germania, ha rilasciato al giornalista Thomas Schmid l’intervista pubblicata da “Die Welt” con il titolo “L’Europa deve essere un Global Player”.


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"Un nuovo corso per il popolo libico"

Die Welt: Signor Presidente, di fronte alle svolte in Tunisia ed in Egitto, l'Europa ha reagito in modo adeguato?
Napolitano: Credo che l'Europa, negli anni passati, sia stata un po' disattenta nei confronti degli sviluppi nel Nordafrica. Abbiamo sottovalutato l'aggravarsi dei problemi di larghe masse popolari. Ora, l'Europa deve adoperarsi decisamente a trovare una linea comune, una politica mediterranea comune. Abbiamo ritenuto che i regimi del Nordafrica fossero stabili e non corressero rischi estremi. Questa è stata un'illusione alla quale abbiamo ceduto. Naturalmente, il grido di libertà che si leva in molti paesi si collega con quello per il pane, per la giustizia sociale. Ed esplode l'ira nei confronti della corruzione, l'ira per le molte ingiustizie e disparità. Ma si è mostrato anche che il desiderio di libertà può essere una potente forza storica.

Come valuta gli attuali sviluppi in Libia?
Napolitano: Sto seguendo con attenzione le drammatiche notizie provenienti dalla Libia che riferiscono di un già pesante e odioso bilancio di vittime fra la popolazione civile. Sottolineo come alle legittime richieste di riforme e di maggiore democrazia che giungono dalla popolazione libica vada data una risposta nel quadro di un dialogo fra le differenti componenti della società civile libica e le autorità del Paese che miri a garantire il diritto di libera espressione della volontà popolare. Viceversa la cieca repressione che colpisce inammissibilmente e in modo indiscriminato la popolazione non fa che allontanare il Paese da quel cammino di pace e prosperità necessario ad assicurare il benessere del popolo libico. Si impone pertanto l'immediata cessazione delle violenze e l'avvio di un nuovo corso – nella libertà – per aprire al popolo libico la prospettiva di un futuro migliore.

L'Europa, ora, che cosa può fare?
Napolitano: Dobbiamo beninteso rispettare l'autonomia di questi Paesi. Devono decidere loro stessi quale strada prendere. Non possiamo comunque che sostenere un processo di transizione ordinata che porti a elezioni democratiche. E dobbiamo sforzarci di avviare una forte politica euro-mediterranea, nello spirito del processo di Barcellona.

…che non è però poi gran ché. L'Unione per il Mediterraneo di Sarkozy, certamente un'ottima idea, finora è risaltata solo per la sua inerzia.
Napolitano: Effettivamente non è andata molto lontano, ora ha bisogno di un rilancio.

La causa della debolezza è dovuta al fatto che l'Unione Europea consideri meno importante il Mediterraneo?
Napolitano: Sarebbe un grave errore ritenerlo insignificante. In effetti, vediamo proprio adesso quali sono realtà e i fermenti che in esso si muovono. Con l'allargamento ad Est, l'Unione Europea è diventata certamente più lontana dal Sud. Ma non vi deve essere alcuna contraddizione fra la dimensione nordica e orientale dell'Europa e quella mediterranea. Entrambe sono elementi di una comune politica estera dell'Europa. Ce ne dobbiamo rendere nuovamente conto. E non si dovrebbe dimenticare che il Mediterraneo rimarrà una cerniera importantissima per i rapporti dell'Occidente con le nuove potenze emergenti in Asia ed in Sudamerica. Il Mediterraneo non è un'area politica di importanza minore. E l'Unione Europea può essere un riferimento essenziale per il futuro sviluppo nell'Africa settentrionale.

L'Europa ha la forza per diventare un global player come gli Stati Uniti o anche come la Cina?
Napolitano: Qui la mia risposta è chiarissima. O l'Europa diventerà un global player – o cade nell'irrilevanza. Non esiste un qualsiasi Paese europeo, che, da solo, possa assumere, in futuro, un ruolo sulla scena della politica globale. Abbiamo da un lato potenze emergenti come il Brasile, l'India e la Cina e dall'altro grandi protagonisti storici come gli USA. Solo se noi europei parliamo con una sola voce, peseremo nella politica globale. Altrimenti rischiamo di scivolare ai margini della politica globale.

Ne deduco che l'Unione Europea sarà un tema importante, quando Lei, giovedì prossimo, incontrerà a Berlino il Presidente Federale Wulff e il Cancelliere Federale Merkel.
Napolitano: Questo sarà il tema centrale. Vogliamo parlare in particolare su come possiamo rilanciare insieme l'impegno per l'Europa che si è visibilmente intiepidito, con energia e passione. E in modo tale che esso tocchi e affascini anche i cittadini.

E' in buone condizioni l'Europa, l'Unione Europea?
Napolitano: No, nessuno può essere soddisfatto della situazione attuale nell'Unione Europea. Per quanto riguarda il Trattato di Lisbona, penso, avremmo dovuto essere forse un po' più coraggiosi. La crisi che viviamo da due anni, a mio avviso, ci impone di fare un energico passo in avanti nell'integrazione europea.

Nei primi decenni del processo di unificazione europea, gli italiani sono stati europei particolarmente entusiasti. Perché non lo sono più? Perché la gente non ama più l'Europa?
Napolitano: Se oggi si guarda all'Europa in modo più scettico – in Italia del resto un po' meno che in Germania – questo, naturalmente, ha molto a che fare con la crisi economica. La gente ha creduto che l'UE fosse una specie di assicurazione contro tutte le crisi, ha creduto che nell'Europa unita si proseguisse ininterrottamente nello sviluppo e verso un maggiore benessere. È stata una convinzione illusoria, e per questo molti ora sono delusi. È stato un errore anche della politica, alimentare questa convinzione o almeno non contrastarla. Ora è il difficile compito storico della politica chiarire questo grande malinteso e rendere evidente ai cittadini quanto sia preziosa, proprio anche in questa crisi, l'unità dell'Europa e in particolare la nostra moneta comune.

Esiste anche un altro motivo per la diffusa "stanchezza" nei confronti del concetto di "Europa". Per le persone della Sua generazione che hanno vissuto la guerra, il fascismo e il nazionalsocialismo, l'Unione Europea è tanto preziosa perché, a memoria d'uomo, ha portato al Continente il primo vero periodo di pace. Per i più giovani non è più un dono, ma una cosa naturale.

Napolitano: È vero. Non si è più consapevoli dell'abisso dal quale siamo venuti. L'Unione Europea, in effetti, non è solo una comunità economica – in primo luogo è un progetto politico di dimensioni storiche. Ha superato le cause che hanno portato a due Guerre Mondiali. Non si deve aver vissuto la Seconda Guerra Mondiale per comprendere quale benedizione sia questo. Oggi, l'Europa non porta più in sé il pericolo di ricadere in conflitti distruttivi. Il problema è oggi quello del contributo da dare alla pace nel mondo e alla sicurezza su scala mondiale. L'Europa deve influire sul processo della globalizzazione.

Nella Sua autobiografia Lei descrive come, da giovane comunista, fosse stato contrario a quell'Europa di De Gasperi, di Schuman e di Adenauer, da Lei oggi tanto stimata. Perché quel no?
Napolitano: Perché allora vivevamo in un periodo di aspri contrasti ideologici. Fu un grave errore della sinistra non solo italiana vedere l'unificazione europea come una variante dell'Alleanza atlantica. Nel mondo diviso in due blocchi prevalsero scelte di campo, con gli Stati Uniti o con l'Unione Sovietica. In Italia, tutto ciò in ogni modo è cambiato già negli anni 60: anche il partito comunista italiano imboccò da allora la strada europea.

Sin dalla crisi della Grecia sta girando in Europa la lamentela che la Germania non sia più tanto europeista come in passato e che promuoverebbe una politica quasi nazionalista.
Napolitano: È un'interpretazione semplicistica e ingenerosa. La crisi della Grecia, naturalmente, ha influenzato il dibattito europeo. Ma è un fatto che la Germania si è impegnata per tutelare l'Eurozona da attacchi speculativi e da rischi.

Può esservi ancora una finalità politica europea. Lei crede negli Stati Uniti d'Europa?
Napolitano: Con l'Unione Europea, gli Stati dell'Europa sono riusciti a creare una realtà storicamente del tutto nuova: non una federazione europea, ma un'Unione inedita – un'Unione di Stati e di popoli. Ci sono sempre gli Stati nazionali sovrani che cedono una parte delle loro competenze, ma restando comunque sovrani. È assai difficile comprimere questa struttura innovativa all'interno di uno schema. L'Europa è un esperimento grandioso non ancora compiuto. Questo carattere in divenire e aperto è proprio il lato positivo dell'Unione. Anche se in Italia ed in Germania si ama brontolare sull'Europa – altrove ci invidiano per il successo di questo esperimento.

Che cosa potrà essere fatto per rendere di nuovo più attraente l'Unione Europea anche in Europa?
Napolitano: Credo che abbiamo più bisogno di uno spazio pubblico europeo, di un dibattito condotto non solo nei singoli Paesi ma al di là delle frontiere. E abbiamo bisogno di più riflessione culturale comune. In Europa stanno circolando troppi giudizi sommari. Per la mia generazione, quando eravamo giovani, sarebbe stato impensabile potersi muovere liberamente in Europa. Oggi, per i giovani, è una cosa ovvia, non viaggiano soltanto, studiano in altri Paesi. È un gran patrimonio – che non abbiamo ancora sfruttato con consapevolezza. Dobbiamo proseguire con fermezza. Lo scetticismo europeo non deve avere l'ultima parola.

Lei adora Thomas Mann, non solo come scrittore.

Napolitano: Eh si. Durante la Seconda Guerra Mondiale ha sviluppato come visone contro il nazismo la visone di un'Europa unita. S'immagini: nel pieno della guerra! I nazisti, in effetti, prospettavano un'Europa unita anche loro, ma un'Europa tedesca, unificata con la violenza e ordinata in modo totalitario. A ciò Thomas Mann contrappose la sua idea di una Germania che diventa europea: democratica, in un'Europa unita. Fu un'idea grandiosa e visionaria, perché allora niente indicava che un tempo questa idea si sarebbe potuta affermare. Similmente visionaria è stata del resto anche l'idea di un'Europa unita federalista di Altiero Spinelli. Anche lui sviluppò la sua idea avvenieristica nel pieno della guerra. Il suo "manifesto di Ventotene", scritto nel 1941, potrebbe aiutarci ancora oggi a superare anacronistici contrasti: nessuno deve avere paura di un super Stato europeo, uniforme e centralizzato. Vogliamo una Unione ispirata al principio di sussidiarietà.

Fonte: www.quirinale.it

24 febbraio 2011

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