Un dolore in più per un conflitto sbagliato


Tonio Dell'Olio - Mosaico dei giorni


Non ci resta che alzarci in piedi davanti ad Alessandro Di Lisio, 25 anni, come tanti altri arruolatosi perché il pane uno se lo deve guadagnare e se non ci sono altre strade va pure militare…


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Un dolore in più per un conflitto sbagliato

Non ci sono parole che bastino a dire il dolore per ogni vita umana che venga sottratta all'affetto, ai sogni, ai progetti, alla vita. Non ci resta che alzarci in piedi davanti ad Alessandro Di Lisio, 25 anni, come tanti altri arruolatosi perché il pane uno se lo deve guadagnare e se non ci sono altre strade va pure militare. A lui, alla sua famiglia, ai suoi amici la prima parola che vorremmo dire è quella dell'abbraccio senza vincoli. Lo stesso che, a saperlo, avremmo dato agli afghani che oggi sappiamo uccisi a migliaia per ordine dell'amministrazione Usa nel 2001.
 
Gli abbracci non conoscono colore di bandiera. Sin da allora avremmo voluto udire se non una voce autorevole, almeno un grido, un urlo di umanità, un pensiero che insinuasse il dubbio che la presenza militare nelle zone di crisi è diventata l'unica risposta che la nostra nazione, quella dell'articolo 11 della Costituzione, sia capace di pronunciare. Sono passati otto anni dall'attacco alle Twin Towers e dalla risposta di fuoco Usa ai danni dell'Afghanistan. Nessuno dei Paesi "democratici" ha mai sollevato il dubbio che la risposta a quella strage andasse elaborata e proposta in sede di istituzioni internazionali che al contrario sono state convocate a ratificare quanto la superpotenza aveva già messo in atto.
 
Quando quella tragica avventura è cominciata c'era stato un G8 a Genova ma non perdete tempo a cercare la parola terrorismo nel documento finale perché quello non è stato un tema trattato dai grandi della terra. E nessuno dei governanti della grande coalizione si è preoccupato di mettersi in ascolto delle reali esigenze della gente che abita quelle terre, di capirne la cultura, di iniziare piuttosto un percorso di consapevolezza critica tra una popolazione spaccata tra il sostegno ai Taliban e la schiavitù dai Taliban. Avessimo mostrato un'altra attenzione, un altro volto della nostra "civiltà" che non fosse solo quella della presenza armata… forse oggi staremmo qui a raccontare un'altra storia. Sembra incredibile che dopo otto lunghissimi anni in cui i fatti dimostrano che la violenza produce solo il fetore crudele della violenza, la risposta che ci viene solennemente fornita è di aumentare, affinare, elevare il potenziale della violenza stessa.
 
Da sempre abbiamo proposto di sbilanciare sulla cooperazione allo sviluppo il nostro impegno in Afghanistan come in ogni altro angolo del mondo in cui la dignità della persona è minacciata. Abbiamo da sempre sostenuto che bombardare di pane crea maggiori consensi che presentarsi in mimetica. Oggi come allora la riflessione più alta del ministro di turno è quella di migliorare «mezzi e attrezzature». Una proposta che non consola le lacrime della famiglia Di Lisio e pone una seria ipoteca per il prolungamento della nostra presenza armata fuori dai nostri confini.

Tonio Dell'Olio – Responsabile settore internazionale di Libera
 
Articolo pubblicato su Liberazione 15 luglio 2009

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Quando muore un soldato
Fonte: Mosaico dei giorni – 15 luglio 2009 – Tonio Dell’Olio

Otto lunghissimi anni in Afghanistan avrebbero dovuto essere sufficienti a far comprendere che la presenza in armi in quel Paese da parte dell’occidente non solo non è utile a nessuno ma rischia di diventare dannosa o tragica per tutti. Se dopo otto anni ci ritroviamo a piangere la morte di un altro giovane e il sentimento del dolore si mescola a quello della rabbia, significa che la pressione militare non può essere l’unica risposta o che quanto meno da sola si rivela insufficiente.
Il corpo senza vita di Alessandro, 25 anni e tanta voglia di vivere, ci urla di rivedere le nostre risposte e gli strumenti del nostro intervento e della nostra presenza nelle zone di crisi del mondo. La risposta del ministro della difesa è vecchia, superata dai fatti, paradossale. Non si può pensare ancora che la soluzione possa consistere nell’aumentare l’efficienza di mezzi e strumenti di guerra.
Caro signor ministro e se invece questa volta giurassimo sulla vita di Alessandro di invertire la tendenza fin qui seguita e rafforzassimo la cooperazione?
Se decidessimo di destinare alle popolazioni afghane le garanzie di sviluppo e di benessere che i Taliban non sono in grado di offrire, forse avremmo vinto insieme la prima battaglia. Taglieremmo l’erba sotto i piedi del terrorismo e creeremmo un consenso maggiore di quanto non riescano a fare le armi.

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