Un anno di dittatura e il popolo stremato dalla fame


La redazione


Ieri a Roma si è svolta la manifestazione a sostegno del popolo birmano/Myanmar organizzata dall’Associazione ITALIA-BIRMANIA. INSIEME


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La situazione in Birmania sta peggiorando. La popolazione è alla fame e stremata da una dittatura sempre più violenta.

Ieri a Roma si è svolta la manifestazione a sostegno del popolo birmano/Myanmar organizzata dall’Associazione ITALIA-BIRMANIA. INSIEME

Alla manifestazione hanno aderito anche Amnesty International Italia, Ass. Amicizia Italia-Birmania Giuseppe Malpeli, Atlante delle Guerre, CGIL CISL UIL, HELPAGE ITALIA, OXFAM ITALIA, PARTITO DEMOCRATICO, TAVOLA DELLA PACE..

Gli organizzatori: “chiediamo la democrazia in Birmania e contro la giunta genocida. Chiediamo alla UE sanzioni economiche generalizzate, il loro monitoraggio, la nomina di un Inviato Speciale UE per la Birmania e la convocazione di un tavolo diplomatico tra ASEAN, CINA, Russia UE, USA e Governo di Unità Nazionale solo con il riconoscimento del NUG e un dialogo con i grandi decisori e i legittimi rappresentanti del popolo birmano si potrà trovare una via di uscita vera alla dittatura criminale, armata da Cina e Russia. Solo con il sostegno politico e finanziario della opposizione democratica la “Rivoluzione di Primavera” potrà continuare e vincere.

 

Pubblichiamo l’intervista rilasciata al Manifesto di Cecilia Brighi, presidente dell’associazione Italia-Birmania Insieme

Da Europa e Italia soldi alla resistenza birmana»

Myanmar. Intervista a Cecilia Brighi, presidente dell’associazione Italia-Birmania Insieme: «Gli aiuti umanitari e allo sviluppo, per i quali l’Ue spende 30 milioni di euro l’anno, sono importanti ma non bastano. Con quei soldi va sostenuta l’opposizione democratica»

«La giunta va strangolata con le sanzioni economiche, l’Ue deve sospendere le agevolazioni sulle esportazioni e l’Italia deve finanziare l’opposizione pro-democrazia».

Sono queste le richieste rivolte alla comunità internazionale da Cecilia Brighi, presidente dell’associazione Italia-Birmania Insieme. «In questo primo anno di dittatura, il popolo birmano ha messo in seria difficoltà la giunta militare, ma non basta, anche l’Italia deve fare la sua parte», ammonisce l’esperta di diritto del lavoro con oltre vent’anni di esperienza nel sindacalismo internazionale, in particolare asiatico (dal 1992 al 2013 ha guidato il Dipartimento internazionale della Cisl).

A un anno dal colpo di Stato in Myanmar, cosa chiedete all’Italia?

Di finanziare l’opposizione democratica. Cosa che l’Italia non vuole fare. Una posizione scandalosa per un Paese che dopo la Seconda guerra mondiale è uscito dalla dittatura anche grazie agli aiuti statunitensi.

Cecilia Brighi

Quindi? Cosa andrebbe fatto a vostro parere?

Gli aiuti umanitari e allo sviluppo, per i quali l’Ue spende 30 milioni di euro l’anno, sono importanti ma non bastano. Con quei soldi va sostenuta l’opposizione democratica. Noi gli stiamo, ad esempio, pagando 80 abbonamenti telefonici e per internet satellitari che gli consentono di comunicare e organizzare flash mob in giro per il Paese. Ma dopo un anno di sacrifici a riso e acqua, ora serve un aiuto istituzionalizzato.

Qual è la situazione nel Paese?

Secondo un rapporto di un’agenzia Onu uscito venerdì si sono persi 1,3 milioni di posti di lavoro (le più colpite sono le donne), ci sono oltre 600mila sfollati interni, per non parlare di quelli che sono fuggiti in Thailandia, cui si sommano 1.500 vittime e le persone finite in galera.

Riguardo alla giunta cosa può dirci?

Pensavano di prendere il potere senza che ci fosse una reazione generale, invece c’è stata un’opposizione strutturale che ha unito il Paese. Ormai c’è un boicottaggio diffuso, nessuno versa più un kyat alla giunta militare: non pagano più le tasse, non vengono saldate le bollette elettriche, i dipendenti pubblici sono ancora in sciopero con 400mila funzionari che restano a casa dal 1° febbraio, giorno del Colpo di Stato.

All’Unione europea, terzo partner commerciale del Myanmar (dopo Cina e Thailandia), chiedete di sospendere le agevolazioni sui tassi doganali. Perché?

Per la profonda violazione delle convenzioni internazionali. I presupposti per farlo ci sono, tanto che abbiamo scritto una lettera all’alto rappresentante dell’Ue per gli Affari esteri, Josep Borrell, indicando nomi, cognomi, aziende, date e violazioni specifiche. La sospensione di queste agevolazioni colpirebbe sicuramente la giunta, anche i sindacati locali sono d’accordo e una serie di ditte italiane come Benetton, Ovs e Geox si sono già ritirate.

E sul settore petrolifero e quello del legno?

Abbiamo chiesto di sanzionare le banche di proprietà dell’esercito e di bloccare le risorse delle concessioni straniere per l’estrazione di gas e petrolio che garantiscono ai militari un miliardo di dollari l’anno. Total e Chevron ora si stanno ritirando e questo dovrebbe consentire all’Ue, finora molto timida, di sanzionare finalmente anche il Myanmar oil and gas enterprise (Moge) che gestisce quelle concessioni. Riguardo al legno questo business è già sanzionato, ma il problema è che non c’è una supervisione europea. Le dogane italiane evidentemente non controllano, visto che hanno permesso la prosecuzione di queste importazioni, chiudendo gli occhi per tutelare il comparto della cantieristica navale italiana.

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