UE. Obbligatoria l’etichetta “Made in Israeli settlements”


NEAR EAST NEWS AGENCY


Tracciabilità dei prodotti provenienti dalle colonie illegali. Israele: “Decisione politica discriminatoria” e sospende incontri con Bruxelles.


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AGGIORNAMENTO ORE 18.30 – ISRAELE SOSPENDE INCONTRI CON UE

Tel Aviv ha voluto lanciare un “forte messaggio di malcontento” verso Bruxelles per la sua decisione di etichettare i prodotti provenienti dalle colonie illegali dei Territori palestinesi occupati e ha deciso di boicottare i prossimi appuntamenti in agenda con l’Unione Europea. Lo ha dichiarato il vice ministro degli Esteri israeliano Tzipi Hotovely all’emittente tv Channel 2: “Non si può essere coinvolti in ciò che sta accadendo in Medio Oriente e al contempo fare una mossa così estrema come l’etichettatura dei nostri prodotti … boicottandoci”. La sospensione, ha fatto sapere il portavoce degli Esteri Emmanuel Nahshon, sarà temporanea e riguarderà gli incontri regolari tra Tel Aviv e Bruxelles sulle questioni politiche inerenti al Medio Oriente, ai diritti umani e alle organizzazioni internazionali.

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D’ora in poi le merci provenienti dalle colonie israeliane nei territori palestinesi occupati dovranno essere obbligatoriamente etichettate in modo diverso. Lo ha annunciato questa mattina la Commissione Europea pubblicando le nuove linee guida per la tracciabilità dei prodotti in provenienza da Israele.

Presagendo le proteste di Tel Aviv, che ha definito la decisione “una inaccettabile discriminazione”, Bruxelles ha fatto sapere che si tratta di una “nota interpretativa”, ovvero della chiarificazione di norme già vigenti. La normativa dell’Unione Europea, infatti, impone l’etichettatura con denominazione di origine a tutti i prodotti agricoli in commercio nell’area comunitaria. Israele, che aveva a lungo osteggiato l’imposizione dei requisiti di etichettatura a merci prodotte su terra occupata, ora dovrà adeguarsi alle regole stabilite.

L’annuncio segue la mozione – approvata lo scorso aprile con 525 voti a favore, 70 contrari e 31 astenuti – con cui il Parlamento Europeo aveva introdotto la differenziazione delle etichettature per le merci provenienti da Israele e per quelle pro­dotte nelle colo­nie ebrai­che in Cisgiordania, a Gerusalemme est e nelle Alture del Golan occupato. Decisione sollecitata da 16 paesi membri dell’Ue, tra cui l’Italia, dopo una serie di riconoscimenti simbolici dello stato di Palestina da parte dei singoli paesi europei e a seguito delle decisioni prese da alcuni stati membri – Gran Bretagna, Danimarca e Belgio – di voler tracciare per conto proprio i prodotti provenienti dagli insediamenti ebraici illegali. 

Un coro di proteste si è levato da ogni angolo del paese per una decisione considerata “discriminatoria” e “controproducente al processo di pace”, che – stando alle dichiarazioni indignate del portavoce del Ministero degli Esteri israeliano Emmanuel Nahshon – arriva proprio nel momento in cui “Israele sta affrontando un’ondata di terrorismo che prende di mira tutti i suoi cittadini”. Un’escalation di violenza che ha il suo centro proprio nei territori occupati, a Gerusalemme est e in particolare in Cisgiordania, dove Israele manda i suoi coloni a sottrarre terra, acqua e risorse ai palestinesi sotto la protezione dell’esercito e della legge. 

Fattori, questi ultimi, che sono alla base del mancato processo di pace tra Tel Aviv e Ramallah, ma che il Ministero degli Esteri israeliano non considera, puntando piuttosto il dito sulla mossa che “l’Unione Europea ha imparato bene dal movimento di boicottaggio (BDS)” e che “potrebbe rafforzare il rifiuto dei palestinesi a tenere negoziati diretti con Israele”.

A scanso d’equivoci per una norma che gli israeliani considerano “politicamente motivata” e che rischia di incrinare ulteriormente i rapporti tra Bruxelles e Tel Aviv, un portavoce della Commissione Europea si è affrettato a riferire al New York Times che “questo non cambia in alcun modo la nostra posizione nei confronti del processo di pace in Medio Oriente”.

Ha poi rassicurato Tel Aviv sul trattamento preferenziale di cui continueranno a beneficiare i prodotti “Made in Israel” nel mercato europeo, prodotti che “continueranno a essere poco o per nulla sottoposti a imposte”. Ma ha anche ricordato che “i prodotti provenienti dagli insediamenti non possono beneficiare di queste condizioni di favore”.

Fonte: http://nena-news.it

11 nov 2015

 

 

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