Come uccide la guerra in Yemen


La redazione


Non solo con le bombe: una bambina di 7 anni – la cui fotografia era stata pubblicata dal New York Times attirando molte attenzioni – è morta di fame ieri, e capita tutti i giorni.


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Yemen_bambina

La foto di una bambina yemenita di sette anni in evidente stato di malnutrizione, Amal Hussein, era stata pubblicata dal New York Times la scorsa settimana e aveva attirato l’attenzione di molti lettori negli Stati Uniti e in altri paesi del mondo. Amal era diventata uno dei simboli della tragedia umanitaria in corso in Yemen, dove sempre più persone, soprattutto bambini, muoiono di fame quotidianamente.

Amal è morta giovedì primo novembre, in un campo profughi del nord dello Yemen. Sua madre, Mariam Ali, ha detto al New York Times in un’intervista telefonica: «Ho il cuore a pezzi. Amal era sempre sorridente. Ora sono preoccupata per gli altri miei figli».

La storia di Amal è molto simile ad altre raccontate dai giornalisti che negli ultimi mesi sono riusciti a visitare lo Yemen, un paese dove da marzo del 2015 si combatte una guerra tra la fazione dell’ex presidente yemenita Abdel Rabbo Mansour Hadi, appoggiato dall’Arabia Saudita, e i ribelli houthi, appoggiati dall’Iran.

Secondo i dati dell’ONU, gli yemeniti che oggi dipendono dagli aiuti internazionali sono 8 milioni, ma potrebbero diventare molto presto 14 milioni, circa metà della popolazione del paese.

I bambini malnutriti sono circa 2 milioni, di cui 400mila considerati gravemente malati. È una storia enorme che va avanti da molto tempo, ma di cui l’opinione pubblica occidentale si è sostanzialmente disinteressata: lo Yemen è un posto particolarmente remoto, non ci sono potenze occidentali da approvare o contestare, la comprensione delle cause del conflitto è più sfuggente che in altri casi. Si è ricominciato a parlarne un minimo da poche settimane, dopo l’omicidio del giornalista Jamal Khashoggi probabilmente ordinato dal regime saudita (qui la versione lunga del legame tra Khashoggi e la guerra in Yemen).

Il giornalista del New York Times Declan Walsh ha raccontato di avere incontrato Amal in una clinica di Aslam, circa 150 chilometri a nord-ovest della capitale Sana’a: «Era sdraiata su un letto insieme alla madre. Gli infermieri la alimentavano ogni due ore con del latte, ma lei vomitava regolarmente e soffriva di diarrea», ha scritto Walsh. Anche le condizioni di salute della madre erano serie: Mariam Ali si stava recuperando dalla dengue, una febbre particolarmente debilitante, probabilmente contratta nel suo campo profughi. Lei e tutta la sua famiglia provengono da una zona montagnosa nel nord dello Yemen, vicino al confine con l’Arabia Saudita, un’area abitata in prevalenza dagli houthi: sono stati costretti a lasciare la loro casa tre anni fa, a causa degli intensi bombardamenti sauditi.

Amal era stata dimessa dalla clinica di Aslam la scorsa settimana: era ancora malata, ma i medici avevano bisogno del suo letto per ricoverare altri bambini che come lei soffrivano di malnutrizione. Il medico che l’aveva curata aveva consigliato alla famiglia di portarla all’ospedale di Medici Senza Frontiere ad Abs, circa 25 chilometri dal suo campo profughi. Non era stato possibile: nell’ultimo anno il prezzo del carburante è aumentato del 50 per cento e la famiglia di Amal non aveva i soldi per pagare il trasporto fino ad Abs. Amal era così rimasta a casa: i tentativi di alimentarla nel campo profughi, però, non sono bastati per guarirla.

La storia di Amal, oltre a dare una faccia all’immane tragedia umanitaria che sta colpendo lo Yemen, racconta un pezzo del conflitto, uno dei meno conosciuti: la guerra economica che sta spingendo milioni di persone in povertà e che è responsabile della morte per malnutrizione di molti bambini yemeniti.

La guerra economica include una serie di misure prese dalle due parti del conflitto, ma soprattutto dal potente principe ereditario saudita Mohammed bin Salman, per colpire gli houthi, considerati dall’Arabia Saudita uno strumento nelle mani dell’Iran. Si parla tra le altre cose di periodici blocchi dei rifornimenti e rigide restrizioni alle importazioni. Nel 2016, infatti, il governo yemenita appoggiato dai sauditi trasferì le operazioni della propria banca centrale da Sana’a, già finita sotto il controllo degli houthi, ad Aden, città portuale del sud. Su ordine saudita, la banca cominciò a stampare grandi quantità di denaro, una mossa che provocò un aumento netto dell’inflazione e ridusse il valore dei risparmi degli yemeniti. La banca smise inoltre di pagare gli stipendi a circa un milione di dipendenti pubblici che lavoravano nei territori controllati dagli houthi, dove abita l’80 per cento della popolazione del paese.

Queste misure, insieme alla distruzione delle infrastrutture più importanti, all’indebolimento della valuta e all’aumento vertiginoso dei prezzi, ha accelerato il collasso dell’economia yemenita, cosa che nelle ultime settimane ha spinto gli esperti dell’ONU a rivedere le loro previsioni relative alla carestia in Yemen. Negli ultimi 20 anni l’ONU ha riconosciuto ufficialmente l’esistenza di due carestie, una in Somalia e una in Sud Sudan. A metà novembre si esprimerà sulla situazione in Yemen, che potrebbe diventare il terzo paese della lista.

IL POST

2 novembre 2018

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