Tra violenza e povertà vacilla la Nigeria
Enzo Nucci
Ieri ci sono stati 5 morti nel primo giorno di sciopero ad oltranza dichiarato dai sindacati contro il raddoppio del prezzo del carburante deciso dal governo.
La Nigeria vacilla. Il paese più popoloso dell’Africa (con i suoi 160 milioni di abitanti) è stretto nella morsa delle proteste popolari contro l’aumento della benzina e delle stragi di cristiani compiute dai terroristi islamici nel nord. Ieri ci sono stati 5 morti nel primo giorno di sciopero ad oltranza dichiarato dai sindacati contro il raddoppio del prezzo del carburante deciso dal governo. Il rincaro è stato determinato dal taglio delle sovvenzioni statali per ridurre la spesa pubblica ed incoraggiare gli investimenti locali nel settore della raffinazione. Infatti anche se l’esportazione di greggio e gas copre il 95% dell’export complessivo, la Nigeria deve importare l’85% dei prodotti raffinati per le scarse capacità interne di produzione. Un incredibile paradosso per il primo produttore africano di petrolio (e l’ottavo nel mondo) dove però il 60% della popolazione vive con due dollari al giorno.
A gettare altra benzina sul fuoco si aggiungono i massacri di 100 cristiani registrati da natale ad oggi ad opera degli integralisti della setta Boko Haram che mirano a cacciarli via, impossessarsi delle loro proprietà ed instaurare la sharia, ovvero la legge islamica. La situazione si infiamma anche al sud a maggioranza cristiana dove è stata attaccata una moschea. Colonne di profughi cristiani e musulmani si muovono dalle zone in cui sono minoranza per cercare la salvezza. Sabato i leaders della comunità cristiana hanno bollato gli eccidi come una sistematica pulizia etnica e religiosa. Qualcuno di loro ha anche ipotizzato l’uso di armi per proteggere famiglie e proprietà. Il conflitto rischia comunque di diffondersi. Ma nonostante le apparenze non ci troviamo di fronte ad una guerra di religione. I terroristi islamici sono stati infatti molto abili nel trasformare le rivalità tra le etnie (che storicamente dividono queste popolazioni sfociando anche in carneficine) in violentissimi scontri inter-religiosi. La Nigeria è una nazione caratterizzata da profonde diversità etniche, religiose, culturali, linguistiche in cui i fortissimi squilibri economici e sociali acutizzano le differenze.
Padre Franco Moretti, missionario e direttore del mensile “Nigrizia”, ricorda che nel nord a maggioranza musulmana sono stati solo i cristiani a godere dei frutti della modernità mentre gli islamici (anche per tradizione) hanno sempre rifiutato il progresso. Va ricordato come 20 anni fa ci furono analoghe stragi organizzate dai tradizionalisti islamici che si opponevano al progresso occidentale. Già allora il governo centrale aspettò che la situazione degenerasse per poi intervenire in maniera radicale. Lo stesso atteggiamento è stato adottato anche nel 2009 quando l’esercito rase al suolo una moschea dove erano asserragliati almeno 3 mila estremisti di Boko Haram: una strage che servì solo a consolidare simpatie verso il gruppo che colse l’occasione per fare il grande salto nel terrorismo e creare stretti rapporti con Al Qaeda.
Del resto l’autorità centrale non si è mai preoccupata della modernizzazione del nord concedendo ampio potere agli sceicchi locali. Nei fatti questo atteggiamento ha favorito la nascita di oligarchie locali in forte competizione tra loro che hanno fortemente caratterizzato la gestione clientelare delle risorse petrolifere, la corruzione, e alimentato a dismisura la povertà nella stragrande maggioranza della popolazione.
Brutti segnali per il presidente Goodluck Jonathan, sempre più solo al comando, cristiano originario del Delta del Niger, accusato di aver violato con la sua candidatura nel 2010 la regola non scritta (ma sempre rispettata) dell’alternanza di un capo di stato musulmano ed uno cristiano. Jonathan ha evocato il fantasma della guerra di secessione in Biafra che tra il 1967 ed il 1970 causò un milione di morti. Il presidente è isolato sia all’interno del governo che nel potente esercito. E forse a tirarlo fuori dalla crisi non è bastata la denuncia che proprio nel governo e nelle più alte istituzioni si nascondono i complici dei terroristi.
Fonte: Articolo21
10 gennaio 2012