Tornando da Nairobi, per una scuola di giornalismo con l’Africa


Santo Della Volpe - articolo21.org


“Il nostro obiettivo oggi è quello di coordinare i nostri sforzi e lavorare per una società più giusta, per dare la possibilità ai poveri di diventare i padroni del proprio destino” è stato sintetizzato nel finale dagli organizzatori dell’incontro di Nairobi, nella speranza che gli esclusi possano sempre diventare i protagonisti “per combattere quella disuguaglianza che si sono trovati in eredità”.


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Tornando da Nairobi, per una scuola di giornalismo con l’Africa

“La pace  è ben di più  che la semplice assenza della guerra”: l’inizio del convegno di Nairobi su Risorse e Conflitti in Africa è in queste parole di Padre  Renato “Kizito” Sesana nel suo saluto ai cinquanta giornalisti, missionari e volontari che per tre giorni hanno discusso  con esperti e relatori  arrivati da quasi tutti i paesi  africani, dal Kenia alla Sierra Leone, dal Corno d’Africa allo Zimbawe, dal Congo al Sud Africa. Perché molti paesi  vivono una condizione precaria: l’assenza di guerra o una pace relativa dopo lunghe atrocità  nasconde una realtà di violenza quotidiana contro i soggetti più fragili della società.

E dietro i conflitti , le guerre, i soprusi  quotidiani ci sono quasi sempre i problemi dello sfruttamento delle risorse, sia quelle naturali, come la terra e l’acqua, sia quelle minerarie, le ricchezze vere di questo continente sterminato e affascinante. E quasi sempre dietro queste risorse ci sono le società multinazionali se non direttamente gli stati occidentali o,molto più recentemente, gli stati emergenti asiatici, a partire dalla Cina.

Molte le cause dei conflitti, descritte nei tre giorni di dibattito serrato, molte le domande senza risposta su come risolverli : perchè non basta la volontà , quando c’è, dei singoli popoli o persino dei singoli dirigenti politici. Spesso la soluzione dei conflitti,come emerso a Nairobi, risiede nella conoscenza di tradizioni,usi e attitudini a vivere insieme o a non confrontarsi che  attraversa gli stati africani che sono stati decisi dagli Europei colonialisti, tagliando con un righello sulla carta geografica antiche competenze di territori e tribù, creando divisioni inutili ma incancrenite dai conflitti negli anni post coloniali, dalla scoperta di oro e petrolio, diamanti e uranio.. Solo la grande idea Panafricana dei padri della lotta al colonialismo avrebbe potuto risolvere i problemi e sviluppare il continente. Ma sono stati  i governi occidentali ad impedire che quella idea si realizzasse. E il peccato originale del colonialismo continua  a condizionare ancora oggi questo continente.

“Il nostro obiettivo oggi è quello di coordinare i nostri sforzi e lavorare per una società più giusta, per dare la possibilità ai poveri di diventare i padroni del proprio destino”è stato sintetizzato nel finale dagli organizzatori dell’incontro,nella speranza che gli esclusi possano sempre diventare i protagonisti,  “per combattere quella disuguaglianza che si sono trovati in eredità”.

Per questo è però determinante conoscere i problemi,avere le informazioni giuste, un sistema di comunicazione ed informazione libero dai condizionamenti dei governi e dei potentati economici: Oggi, ad esempio, in Africa i cittadini, anche quelli più “benestanti” non hanno accesso alle informazioni per vincolare i loro governi a rendicontare le  entrate dalle risorse minerarie o naturali e quindi  anche la ripartizione di quelle entrate per le necessità dei loro paesi,dalle scuole alle infrastrutture . Giornali e televisioni,dove esistono,non possono o vogliono, informare i cittadini. In molti stati solo l’oligarchia che incassa i profitti dalle estrazioni minerarie ( poche persone, spesso solo il dittatore di turno)  conosce l’ammontare della somma che finisce nelle casse dello stato Ed in questo modo i governi si sentono legittimati a non dire quanto poi spendono per le popolazioni ed i servizi, visto che non dicono neanche quanti sono le entrate.  Questo percorso dittatoriale si traduce in una impunità duratura difesa da eserciti e mercenari, in una mancanza di legittimità popolare che  si prolunga in assenza di democrazia.,tanto declamata quanto assente.

Per questo l’informazione è una chiave di volta  per il futuro del continente africano: difendere i giornali che vogliono fare  informazione,cercare e pretendere notizie per poterle pubblicare  è un lavoro difficile in molti stati,si è detto a Nairobi; ma è un diritto-dovere per i giornalisti,sia occidentali che africani. E  la libertà di stampa è  una richiesta doverosa da parte dei paesi occidentali .

Molte  proposte emerse dall’incontro di Nairobi riguardano proprio l’informazione, dopo aver chiesto che l’incontro  resti annuale e darsi appuntamento fra sei mesi in Italia (potrebbe svolgersi a Riccione nell’ambito del premio Alpi):

–         Sviluppare nel  sito Internet  dell’Africa Peace Point la circolazione di  contenuti,informazioni,forum,pubblicazione degli atti  e ogni documento che possa essere utile allo scambio di informazioni.              

–         Organizzare il gruppo di Nairobi in struttura stabile (associazione o altro) con l’obiettivo di rendere permanente l’attività di formazione e di allargare il percorso a quanti ne fossero interessati.

–         Organizzare una missione giornalistica in una zona calda (ad esempio il Nord Uganda)

–         Coinvolgere anche le realtà formative italiane ,ad esempio  le Università e le scuole di giornalismo,i master universitari ,nella discussione e nella formazione dei giornalisti.

Quest’ultimo punto va rilanciato proprio come argomento specifico,per noi giornalisti di ritorno da Nairobi e per Articolo21 che di questo seminario è stato uno dei promotori. La proposta è semplice: chiedere alla Fnsi, all’Usigrai di farsi carico della richiesta di stabilire un ponte tra le scuole di giornalismo (Perugia,Urbino,Milano ecc.) e Nairobi per uno scambio di stage formativi. Gruppi di studenti che dalle scuole italiane  vadano in Kenia ad incontrare esperti e giornalisti africani; e viceversa gruppi di giornalisti o studenti di giornalismo africani che vengano periodicamente in Italia per stare nelle nostre redazioni con stage formativi e lavorativi alla pari con gli studenti “fine corso” italiani.  Ma  perché non resti solo una utopia o al massimo una bella idea, la proposta va studiata con i colleghi africani,le istituzioni e le aziende editoriali (ce ne sono anche di molto serie in Africa) tramite  Africa Peace Point ,i missionari dell’agenzia Misna, il premio Alpi ,le tante associazioni italiane ed internazionali che hanno aderito all’incontro di Nairobi ed il centro Shalom di Padre Kizito . Andrebbe discussa e formalizzata poi con le aziende editoriali italiane sensibili e incastonata all’interno delle vertenze contrattuali (nazionali o integrative lo deciderà il sindacato); affinché  diventi prassi  poi consolidata e non legata all’entusiasmo del momento.

Fonte: Articolo21

16/12/2007 

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