Thailandia: ucciso il fotoreporter Fabio Polenghi. Si faccia immediata luce


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La tragica morte di Fabio Polenghi è l’ultima dei cronisti invisibili che continuano a portare luce a fatti del mondo che in tanti vorrebbero oscurare per nascondere verità inquietanti.


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Thailandia: ucciso il fotoreporter Fabio Polenghi. Si faccia immediata luce

Esprimiamo totale vicinanza alla famiglia e ai colleghi di Fabio Polenghi, il fotoreporter milanese ucciso a Bangkok. E' uno dei tanti professionisti dell'informazione morto sul campo, 12 dall'inizio dell'anno come ricorda il sito di Reporters sans Frontieres. Per questo chiediamo che si faccia immediatamente luce su quanto successo affinchè la sua vicenda non cada nel dimenticatoio e non sia avvolta dal mistero, e dagli insabbiamenti, come già avvenuto in moltissimi casi, dalla russa Anna Politoskavja agli italiani Ilaria Alpi ed Enzo Baldoni.

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Un giornalista ucciso non merita spazio su tutti i Tg

Il Commento: Mimmo Candito, Reporters Sans  Frontieres
(Intervista di Ambra Murè)

Come abbiamo visto oggi ci occupiamo di due notizie. Entrambe, in modo diverso, riguardano il mondo dell’informazione. La morte del fotoreporter Flavio Signori in Thailandia e la stretta sulle intercettazioni in Italia. Possiamo dire che fare informazione, nelle zone di guerra ma in un certo senso anche nel nostro paese, diventa un mestiere sempre più difficile?
Vi è un filo diretto che drammaticamente mette sullo stesso piano la morte di un collega e il rischio enorme che il giornalismo come tale, non i giornalisti, corre in un paese come l’Italia di fronte a queste norme che stanno per essere applicate. E’ un dato genetico: il giornalismo è uno strumento di intervento nella vita della società che compie un atto testimoniale. Quindi il giornalismo sempre e da sempre deve misurarsi con un tentativo di condizionamento dei poteri. E’ un condizionamento quello dell’esercito thailandese, che dice ai giornalisti statevene lontani perché altrimenti rischiate la pelle, ma allo stesso tempo è un condizionamento del potere politico che in una società di caratura democratica come l’Italia intervenga un impianto normativo che mette assolutamente a rischio la qualità dell’informazione e la stessa libertà del giornalismo di far conoscere alla società quel che sta avvenendo nel paese.

Qualora venisse approvato, il disegno di legge sulle intercettazioni colpirebbe non solo gli editori, ma anche i giornalisti, imbavagliati dalla prospettiva del carcere e di una multa che potrebbe arrivare fino a 20 mila euro. Un rischio intollerabile soprattutto per i free-lance, che, come abbiamo visto, sono già oggi i più esposti nelle zone di guerra…

Sì, certo, non vi è dubbio. Il giornalismo non è soltanto produzione intellettuale: la notizia è anche un bene di consumo che si offre sul mercato. Il problema dei free-lance è quello di essere l’anima libera del giornalismo. Loro, non essendo all’interno di un’organizzazione editoriale, devono tentare di battere sul mercato l’offerta delle grandi agenzie. Se vuole vendere il proprio prodotto sul mercato, un free-lance deve dare più e altro rispetto ai grandi centri di produzione e deve spingersi laddove talvolta le grandi agenzie non si spingono.  Quindi accade proprio per questo che larga parte dei nostri morti degli ultimi anni siano proprio free-lance o cameramen, cioè coloro che davvero stanno sul campo, al di là di quella frontiera che spesso noi giornalisti organizzati ci poniamo.

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