Territori occupati: punizione collettiva per i palestinesi
Nena News
Dopo l’uccisione di una poliziotta israeliana, venerdì sera, Tel Aviv ha revocato 250mila permessi di ingresso in Israele, arrestato 350 persone, chiuso negozi e messo sotto coprifuoco un intero villaggio
La punizione collettiva è piovuta su tutti i palestinesi dei Territori Occupati: dopo l’uccisione venerdì notte di una poliziotta israeliana di 23 anni, Hadas Malka, vicino alla porta di Damasco a Gerusalemme, colpita da un coltello da tre giovani palestinesi – Adel Hasan Ahmad Ankoush, 18 anni, Baraa Ibrahim Salih Taha, 18, e Osama Ahmad Dahdouh, 19 – Israele attua una rappresaglia generale, vietata dal diritto internazionale.
Dopo l’uccisione di due dei tre palestinesi da parte della polizia, destino che ha accomunato negli ultimi due anni centinaia di aggressori veri e presunti (272 i palestinesi uccisi dall’ottobre 2015, 42 gli israeliani), fermati dalle pallottole e non arrestati, militari e poliziotti hanno compiuto 350 arresti, chiuso un’intera comunità in Cisgiordania e cancellato 250mila permessi rilasciati per il mese sacro di Ramadan.
Già venerdì notte, a poche ore dall’attacco, il villaggio di Deir Abu Mashal, dove i tre ragazzi risiedevano, è stato circondato dall’esercito e posto sotto coprifuoco. Ingressi chiusi, vietato entrare e uscire e un raid a cui gli abitanti hanno reagito scontrandosi con la polizia. Subito le autorità israeliane hanno ordinato la demolizione delle case di famiglia dei tre palestinesi, altra pratica vietata dal diritto internazionale perché considerata una punizione collettiva contro persone che non hanno alcuna responsabilità penale. L’esercito ha confermato: le abitazioni sono al momento soggette a procedure di verifica per poter procedere alla loro distruzione. Ritirati anche i permessi di lavoro ai familiari che li avevano ottenuti.
Di nuovo ieri un altro raid è stato compiuto a Deir Abu Mashal, ancora chiuso dall’esercito: i militari hanno aperto il fuoco contro i manifestanti e hanno ferito tre palestinesi e ne hanno arrestati tre, due uomini e una donna, la 42enne Inaya Atta, moglie del prigioniero politico Saleh Atta, condannato a 21 anni di carcere.
E mentre Hamas e Pflp rivendicavano l’azione di venerdì indicando i tre come loro membri per cancellare la rivendicazione repentina dell’Isis (chiaro atto politico volto a ribadire la differenza strutturale, come spiegano i due partiti, tra resistenza contro un’occupazione e terrorismo di matrice islamista), Tel Aviv annunciava la revoca di 250mila permessi rilasciati dalle autorità israeliane a palestinesi residenti in Cisgiordania per poter visitare Gerusalemme nel mese sacro del Ramadan.
Da sabato la polizia sta fermando a Gerusalemme palestinesi dalla Cisgiordania, li carica in autobus speciali e li riporta oltre il muro, come mostrano foto e video pubblicati da agenzie palestinesi. Finora sarebbero 350 quelli già individuati e cacciati dalla Città Santa. Secondo il Cogat, l’agenzia del Ministero israeliano della Difesa che si occupa dei civili nei Territori Occupati, la revoca dei permessi è volta a rispondere a quello che viene definito “incoraggiamento del terrorismo” da parte dell’Autorità Nazionale Palestinese e del suo presidente Abu Mazen.
Da tre giorni la tensione a Gerusalemme è altissima: strade dei quartieri est bloccate al traffico, raid arbitrari, arresti, donne, uomini e bambini fermati per la strada e fisicamente perquisiti, negozi costretti a chiudere durante l’ora dell’iftar, il pasto che rompe il digiuno quotidiano del Ramadan.
E con Israele che conferma che i tre aggressori non erano parte di movimenti o gruppi organizzati, sullo sfondo resta la disperazione che muove da anni giovani palestinesi, nati e cresciuti sotto occupazione, una frustrazione radicata nella convinzione di non avere alcuna via d’uscita da uno status quo soffocante. Prive di una leadership capace di costruire una strategia politica, chiuse in enclavi separate, costrette da carte di identità differenti a non avere più una vera e unica identità, private di libertà di movimento, di lavori dignitosi e di una speranza qualsiasi verso il futuro, le giovani generazioni sono ogni giorno di più lo specchio di un popolo disperato.
Nena News