Sudan, terzo anniversario dell’indipendenza. Tra le violenze e un nuovo esodo di massa


Antonella Napoli


A tre anni dall’indipendenza raggiunta dopo oltre 20 anni di guerra, l’anniversario si consuma nel dramma di una nuova sanguinosa guerra civile. Orrori senza fine su cui il mondo si ostina a non alzare lo sguardo.


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Dall’escalation di violenze e la distruzione di strutture per l’assistenza sanitaria in Sud Sudan, di cui in queste ore ricorre il terzo anniversario dell’indipendenza, alla ripresa degli scontri tra ribelli e forze governative e milizie assoldate da Khartoum in Darfur, che hanno determinato un nuovo drammatico esodo di massa.  Questi i segnali inconfutabili che la situazione in entrambi i paesi sia ormai fuori controllo. Nelle scorse settimane un portavoce di Ocha, l’agenzia dell’Onu per il coordinamento delle operazioni umanitarie, aveva affermato che solo il 3% dei 995 milioni di dollari in aiuti internazionali che servono al Sudan è stato effettivamente consegnato.
Eppure il numero di persone che necessitano di assistenza nella regione occidentale sudanese è aumentato del 40% rispetto all’anno scorso, riferisce con aria sconfortata John Ging, direttore degli aiuti umanitari nel Paese africano, oltre 6 milioni. La richiesta di interventi è sempre più pressante. Quest’anno, solo nel primo quadrimestre, gli sfollati del Darfur sono stati oltre 300mila.  ”È abbastanza scioccante vedere come una regione del mondo che era al centro dell’attenzione globale non venga più considerata”, dice sconsolato Ging.
E c’è di più se non di peggio.
A seguito del potenziamento della missione in Centrafrica, l’ONU ha deciso di ridurre i fondi per il contingente e le agenzie umanitarie dispiegate in Sudan.
“Siamo passati da un budget di 1,5 billion dollars  a poco più di 1… abbiamo già iniziato a tagliare sui voli e su alcuni uffici a Khartoum, poi toccherà alle unità sul campo” ha confermato un responsabile della missione con base a El Fasher.
Le Nazioni Unite hanno previsto il ridimensionamento delle truppe, circa 5.300 uomini, anche se il Consiglio di sicurezza ha manifestato preoccupazione per la mancata risoluzione del conflitto che ancora perdura nella regione sudanese.
Attualmente la missione ibrida formata da peacekeepers dell’Unione Africana e delle Nazioni Unite, conta circa 23.500. A proporne il ridimensionamento è stato il responsabile delle missioni di peacekeeping delle Nazioni Unite Herve Ladsous. Ladsous ha detto che il numero di truppe regolari può essere tagliato di almeno 3.260 visto il “miglioramento della sicurezza lungo il confine tra Ciad e Darfur e a seguito della fine delle tensioni tra Sudan e Ciad e tra Sudan e Libia.”
Il taglio previsto di 1.500 unità per il supporto aereo, ingegneri e altre forze logistiche è già iniziato.
Le Nazioni Unite hanno necessità di ridurre il numero di unità impegnate nelle missioni di pace in tutto il mondo di 115.000 con l’obiettivo di potenziare le zone maggiormente a rischio di violenza, come la Repubblica centrafricana. Appare dunque incomprensibile la scelta di abbattere la scure su Unamid visto che lo stesso Consiglio di sicurezza, al termine dei colloqui sul conflitto del mese scorso, aveva dichiarato attraverso l’ambasciatore americano Susan Rice che i 15 membri “hanno espresso preoccupazione per la continua instabilità e l’escalation di violenza in Darfur e per le condizioni umanitarie”.
Nonostante la continua persistenza della crisi, il Darfur è stato oscurato negli ultimi mesi dalle offensive militari del governo contro i ribelli negli stati del Sud Kordofan e Blue Nile e dal conflitto tra Sudan e Sud Sudan.
E proprio quest’ultimo sta pagando maggiormente le conseguenze della ripresa degli scontri.
A tre anni dall’indipendenza raggiunta dopo oltre 20 anni di guerra, l’anniversario di questo ancor giovanissimo stato si consuma nel dramma di una nuova sanguinosa guerra civile.
L’ultimo rapporto di Ocha diffuso il 4 luglio rileva che sono ormai 1.100.000 gli sfollati interni, buona parte dei quali ospitati in campi sovraffollati dove è difficile soddisfare i bisogni di base e le condizioni di vita sono precarie. Di questi, circa 100.000, in grande maggioranza donne e bambini Nuer, si trovano in 10 campi all’interno delle basi della missione di pace Unmiss difesi dai caschi blu.
E il conflitto non ha risparmiato neanche gli ospedali, dall’inizio dell’anno sei sono stati saccheggiati o bruciati e almeno 58 persone uccise al loro interno. Il rapporto di Medici senza frontiere sul Sud Sudan traccia un bilancio drammatico che vede nella violenza nelle strutture ospedaliere la negazione dell’assistenza medica a molte delle persone più vulnerabili del paese.
Orrori senza fine su cui il mondo si ostina a non alzare lo sguardo.
Fonte: www.articolo21.org

10 luglio 2014

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