Sudan, l’assedio di el-Fasher allarma l’Onu
il Manifesto
INCUBO DARFUR. Rsf all’attacco, emergenza umanitaria nell’ultima roccaforte dell’esercito nella regione. Risoluzione delle Nazioni Unite mette in guardia i due schieramenti. Il mondo è preoccupato per i massacri e la carestia
Giovedì sera il Consiglio di Sicurezza dell’Onu ha adottato una risoluzione che chiede «la fine dell’assedio alla città di el-Fasher», nel Darfur settentrionale, da parte delle Forze di Supporto Rapido (Rsf), guidate dal generale Hamdane Dagalo (detto Hemedti), che dall’aprile 2023 si scontrano con l’esercito rimasto fedele al generale Abdel Fattah Al-Burhan.
LA RISOLUZIONE, approvata con 14 voti favorevoli e la sola astensione della Russia, ha espresso «grave preoccupazione per la violenza dei combattimenti e la situazione umanitaria», visto che el-Fasher resta l’ultima città del Darfur ancora sotto il controllo delle Forze armate sudanesi (Fas) e in questi ultimi due mesi è diventato l’epicentro del conflitto, con la popolazione – oltre 1,5 milioni di civili e sfollati – senza cibo, medicinali e aiuti umanitari.
«L’adozione di questa risoluzione mette in guardia entrambe gli schieramenti sul fatto che il mondo sta osservando ed è in allarme per i massacri e una carestia imminente, soprattutto nel Darfur», ha affermato Barbara Woodward, rappresentante del Regno Unito presso le Nazioni Unite, indicando «la necessità urgente di inviare aiuti e personale medico», dopo la chiusura dell’ultimo ospedale funzionante di Medici senza Frontiere (Msf), bombardato la scorsa settimana proprio a el-Fasher.
LA POSTA IN GIOCO È ALTA: el-Fasher accoglie circa 800mila profughi e la città è diventata un vero e proprio centro nevralgico per la distribuzione degli aiuti umanitari e dell’assistenza sanitaria. L’ong Human Rights Watch (Hrw) ha anche chiesto all’Onu di spingere l’Unione africana affinché svolga «una missione per proteggere civili e sfollati», in un paese che ha raggiunto oltre 10 milioni di profughi, dopo un anno di conflitto.
Ma se le richieste per un cessate il fuoco da parte della comunità internazionale diventano sempre più insistenti, la situazione sul campo indica che i combattimenti continuano incessanti intorno a tutta la città. Venerdì l’esercito sudanese ha annunciato la morte di Ali Yaqoub, comandante in capo nel Darfur settentrionale e numero 3 delle Rsf, ucciso durante un attacco nella zona meridionale della città.
Barbara Woodward all’Onu
La risoluzione adottata mette in guardia i due schieramenti. Il mondo è preoccupato per i massacri e la carestia, è urgente inviare aiuti
IN UN COMUNICATO UFFICIALE pubblicato dal quotidiano Sudan Tribune, il portavoce dell’esercito sudanese, Ahmed Hussein Mustafa, ha indicato che circa «mille combattenti delle Rsf sono stati uccisi nell’attacco». Yaqoub era stato in precedenza uno dei comandanti dei famigerati Janjaweed ed era incriminato per numerosi massacri contro le tribù non arabe dei Fur nel periodo di pulizia etnica che, dal 2004, ha causato oltre 400mila vittime nel Darfur.
L’eventuale caduta di el-Fasher preoccupa molto la comunità internazionale, non solo per la drammatica situazione umanitaria, ma anche perché una sua conquista da parte delle milizie del generale Dagalo significherebbe il controllo totale della regione, ricca di risorse minerarie e in particolare di giacimenti d’oro.
UNA POSSIBILITÀ CHE ALLARMA l’occidente e Washington, perché una piena conquista della regione potrebbe portare alla creazione di «uno stato separatista del Darfur, guidato da Dagalo e dai suoi paramilitari» e giustificherebbe «la strategia della pulizia etnica nella regione», come indicato in una recente intervista alla Bbc dall’inviato degli Stati Uniti per il Sudan, Tom Perriello.
Lo scenario di uno stato separatista del Darfur, per quanto remoto, agita particolarmente l’occidente perché favorirebbe ulteriormente la penetrazione da parte di Mosca e della propria sfera di influenza nel continente africano. Dall’inizio del conflitto la Russia ha sempre mantenuto una certa ambiguità nei propri rapporti con entrambi gli schieramenti.
DA UNA PARTE le forze regolari sudanesi di al-Burhan sono in stretto contatto con le forze armate russe e il ministro degli esteri di Mosca, Sergej Lavrov, con un sostegno sancito anche dal recente impegno da parte del leader sudanese «di voler costruire una base navale russa sul Mar Rosso».
Dall’altra l’Africa Corps (ex gruppo Wagner), riorganizzato sotto il diretto controllo del ministero della Difesa di Mosca, rifornisce di armi i miliziani delle Rsf di Dagalo – attraverso il confine con la Libia – e in cambio ha il controllo dell’estrazione e del commercio delle miniere d’oro nel Darfur.
Stefano Mauro
Il Manifesto
16 giugno 2024