Stragi di civili in Sud Sudan


L’Osservatore Romano


Accuse della missione delle Nazioni Unite ai ribelli. Anche la matrice etnica tra le componenti del conflitto.


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Drammatiche testimonianze sono state raccolte dalla Minuss, la missione dell’Onu in Sud Sudan, su stragi di civili, compresi bambini, da parte delle forze ribelli che fanno riferimento all’ex vicepresidente Rijek Machar, insorte a metà dello scorso dicembre contro il Governo del presidente Salva Kiir Mayardit. Le accuse, delle quali secondo la Minuss ci sono riscontri, riguardano soprattutto la città di Malakal, la capitale dello Stato petrolifero dell’Alto Nilo, dove si sono riaccesi i combattimenti negli ultimi giorni, vanificando il già fragile accordo di tregua del mese scorso. In un comunicato diffuso ieri si afferma che reparti ribelli vi hanno ucciso non meno di una ventina di persone. Il comunicato aggiunge che due bambini sono stati uccisi fuori dal perimetro della base dell’Onu a Malakal, dove hanno trovato rifugio circa mille civili.
Secondo la Minuss, le uccisioni hanno avuto connotazione anche se non soprattutto etnica. Anche questa componente, infatti, concorre alla guerra civile scoppiata in Sud Sudan. Le forze militari rimaste fedeli al Governo sono formate in massima parte da appartenenti all’etnia maggioritaria dinka, quella di Salva Kiir Mayardit, mentre i soldati ribelli sono soprattutto di etnia nuer, quella di Rijek Machar.
Gli osservatori più attenti sanno bene che il conflitto esploso in Sud Sudan, il più giovane Stato del mondo, diventato indipendente dal Sudan nel luglio 2011, è soprattutto una questione di spartizione del potere, il che nel caso specifico significa essenzialmente controllo sul petrolio.
Non a caso, nei negoziati avviati ad Addis Abeba per iniziativa dell’Autorità intergovernativa per lo sviluppo (Igad), alla mediazione dell’Igad stessa si è subito affiancata quella dell’Unione africana e, per la prima volta nella storia del continente, quella della Cina, principale acquirente del petrolio sudsudanese.
La lotta per il potere e per il controllo delle risorse, come spesso accade in Africa, s’innesta però anche in Sud Sudan su contrasti etnici mai sopiti. I rapporti tra le due etnie erano stati molto tesi in passato, ma sembravano essere stati messi da parte nella comune militanza nell’ultraventennale conflitto delle popolazioni sudsudanesi con Khartoum.
Né la componente etnica era sembrata motivo di scontro nei sei anni e mezzo trascorsi tra l’Accordo generale di pace che mise fine a quel conflitto, il 9 gennaio 2005, e la dichiarazione d’indipendenza sudsudanese del 9 luglio 2011. Anche negli ultimi anni non erano erano mancati scontri su basi etniche, in particolare nello Stato dello Jonglei, ma i problemi sudsudanesi erano sempre stati più esterni che interni, soprattutto per le irrisolte questioni con Khartoum. Ora, invece, le tensioni interne sono esplose in un conflitto che minaccia la tenuta stessa del giovanissimo Stato.

Fonte: Osservatore Romano
23 febbraio 2014

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