Strage di Peshawar, le accuse dei cristiani
Emanuele Giordana - Lettera22
Manifestazioni di protesta in tutto il Pakistan mentre il governo promette una nuova strategia per difendere fedeli e luoghi di culto delle minoranze.
La macabra conta delle vittime della strage di domenica scorsa nella chiesa protestante si Ognissanti a Peshawar (nella foto in alto), la capitale della provincia pachistana di Khyber Pakhtunkhwa, non è ancora finita. Agli oltre ottanta morti (37 sono donne) potrebbero aggiungersene di nuovi visto che tra gli oltre 130 feriti molti restano in situazioni critiche. La piccola comunità cristiana del Pakistan è sconvolta dopo l’attentato più grave che abbia mai subito e che due ventenni hanno portato a compimento imbottiti di esplosivo mentre si concludeva la cerimonia della domenica cui stavano partecipando circa 400 fedeli. In Pakistan i cristiani sono un’esigua minoranza (circa il 2% di 180 milioni) e circa 200mila tra loro vivono nell’area occidentale di Khyber Pakhtunkhwa al confine con l’Afghanistan (70mila nella capitale di provincia). Ma stanno reagendo: ieri ci sono state manifestazioni a Peshawar, Islamabad, Karachi, Lahore, Multan, Faisalabad, Gujranwala, Rahimyar Khan, Hyderabad, Quetta. Qualcuna ha anche avuto appendici violente e l’obiettivo era l’apatia del governo benché la condanna del massacro sia stata pressoché unanime: dal Consiglio degli Ulema del Pakistan al premier Nawaz Sharif. All’estero ne ha parlato ovviamente anche Papa Francesco.
La strage ha anche una rivendicazione telefonica che per altro ha tardato ad arrivare e che è confusa. Secondo la France Press la responsabilità è di Junood ul-Hifsa, una branca dei talebani pachistani (Tehrek-e-Taleban Pakistan o Ttp) nata con lo scopo di colpire i non musulmani e salita agli onori della cronaca nel giugno scorso quando, per vendicare le stragi dei droni, i suoi adepti si resero responsabili di un massacro di scalatori (non solo occidentali) nella zona settentrionale del Gilgit-Baltistan. Un tal Ahmad Marwat ha rivendicato la strage nella chiesa come risposta proprio agli attacchi dei droni (se n’era appena verificato uno nelle aree tribali anche se è difficile che un tale massacro non sia stato predisposto con molto anticipo). La Reuters però descrive lo stesso Marwat come un membro del gruppo Jundullah (o Jundallah, soldati di Dio), sempre affiliato ai Ttp la cui rivendicazione ha invece un sapore eminentemente ”settario”, nella scia di una guerra comunitaria alla ricerca di una purezza religiosa del Pakistan che si è accanita contro sciiti e cristiani quasi in egual misura: nel 2009, per ricordare uno degli episodi più gravi, un raid di musulmani inferociti per una supposta dissacrazione del Corano diede fuoco nella città di Gojra in Punjab a oltre una settantina di case uccidendo sette persone. Erano cristiani e l’elenco è lungo: se dovesse descrivere anche lo stragismo anti sciita sarebbe quasi infinito.
Se i cristiani si sentono in pericolo infatti, non sono gli unici: a causa di gruppi fondamentalisti settari temono per la propria vita gli sciiti (soprattutto nella zona occidentale di Quetta) e vivono nella paura degli islamisti armati clandestini molti abitanti del Pakhtunkhwa, dove il Ttp ha le sue basi ma gode di sempre minor consenso (come per altro i partiti islamisti costituzionali). Il ministro degli Interni Chaudhry Nisar Ali Khan ha detto, appena dopo la strage, che tra pochi giorni il governo renderà noto un piano di protezione per le chiese e altri luoghi di culto e che saranno rivisti i piani per la sicurezza sul territorio nazionale proprio perché è ormai chiaro che, per i terroristi, i templi sono luoghi emblematici quanto semplici da colpire.
Il premier Nawaz Sharif, che è appena partito per New York dove il suo imminente discorso all’Assemblea generale dell’Onu (previsto venerdi prossimo) dovrebbe proprio vertere sulla vicenda “droni”, ha dunque una difficoltà in più proprio alla vigilia di un appuntamento internazionale importante e di alta visibilità. Dovrà distinguersi dai fondamentalisti senza dare ragione a chi pensa che colpire dall’alto nel mucchio con aerei senza pilota sia la strategia vincente. Per il neo premier il momento è delicato: nella sua agenda c’è l’ennesimo tentativo di ricucire con l’India i rapporti sempre tesissimi tra i due cugini asiatici separatisi nel 1947 con la fine del Raj britannico; c’è il processo di pace in Afghanistan nel quale Islamabad vorrebbe entrare neppur troppo in punta dei piedi; c’è la questione droni che è uno dei nodi più delicati da sciogliere e che continua a levare consensi ai governi civili del Pakistan. E infine, ma nemmeno in fondo alle priorità, ci sono i talebani pachistani e la galassia settaria anti indiana, anti sciita e anti occidentale che gode di finanziamenti occulti e simpatie nemmeno troppo velate in un quadro confuso che vide a suo tempo anche Nawaz Sharif strizzare l’occhio all’estremismo islamico. Cosa di cui forse ora si è pentito.
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Fonte: www.lettera22.it
24 settembre 2013