Storie di prigionia e libertà. Gaza un giorno qualunque


Luisa Morgantini


Dopo la breccia che per qualche giorno ha portato aria (e cibo) ai palestinesi, un milione e 500mila persone sono tornate nella "gabbia". Ecco le loro storie raccontate dalla Vicepresidente del Parlamento Europeo Luisa Morgantini.


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Storie di prigionia e libertà. Gaza un giorno qualunque

L'aria di libertà per migliaia di palestinesi che si sono riversati in Egitto dopo l'abbattimento di pezzi di muro sta finendo: un milione e 500mila persone sono tornate dentro la "gabbia" alla mercè dei raid dell'esercito israeliano, ma anche dei rockets sparati da estremisti palestinesi su Sderot. Molti civili palestinesi però rimangono fuori, e manifestano nel gelo di questi giorni ad Al Arish: sono studenti, malati, imprenditori, famiglie che devono recarsi all'estero ma l' Egitto ha chiuso l'entrata al Cairo. E così continua l'assedio alla Striscia: l'Alta Corte di giustizia israeliana autorizza i tagli ai rifornimenti di combustibile ed elettricità mentre il confine di Rafah torna ad essere chiuso e le forze politiche palestinesi non trovano un 'accordo subornati dalle rigidità interne e dall'incapacità della Comunità Internazionale a partire dagli Usa, all'Onu, all'Ue. Dal 28 novembre al 20 gennaio, sono 136 i palestinesi uccisi dai raid israeliani nella Striscia di Gaza e 360 i feriti (fonte Palestine Monitor); 87 pazienti palestinesi sono morti negli ultimi mesi di assedio totale israeliano per l'impossibilità di reperire cure e trattamenti medici, tra questi 16 bambini.
L'assedio vuol dire incapacità di cuocere il pane, di filtrare l'acqua che a Gaza è inquinata, di tenere accesi i generatori degli ospedali, per le incubatrici e per macchinari di reparti vitali come la rianimazione.
«Non è togliendo il pane o le medicine ai bambini di Gaza che si riuscirà a mettere al riparo dai razzi Qassam i bambini di Sderot»: hanno ribadito movimenti di israeliani, palestinesi e internazionali in tutto il mondo lo scorso 26 gennaio, giornata internazionale per la fine dell'assedio di Gaza (www.end-gaza-siege.ps) sul filo di un ponte telefonico, anche a Roma, e in solidarietà con i manifestanti all'interno della Striscia. E dalla manifestazione di Eretz, anche una giovane ragazza di 17 anni di Sderot, Shir Shodzik, una zia e un cugino feriti dai Qassam, ha lanciato il suo appello per la fine di ogni violenza. Oggi, con una delegazione di Parlamentari europei dei diversi partiti politici, inizierò un viaggio in Palestina ed Israele che ci porterà anche a Gaza. Per dire ai palestinesi che il Parlamento Europeo ha votato una risoluzione che chiede la fine dell'embargo a Gaza, così come le incursioni militari nella Cisgiordania e l'unità del territorio palestinese. Sarà un modo concreto per rompere l'embargo e verificare direttamente le condizioni di vita dei palestinesi sotto assedio e sotto occupazione. Consapevoli che la questione palestinese non è la tragedia umanitaria e il bisogno di aiuti, peraltro indispensabili, ma di libertà e di autodeterminazione e di uno stato che possa vivere in reciproca sicurezza con lo stato israeliano.

Ospedale Al Shifa – Gaza City

Mansour Rahal stava guidando una carretta tirata da un asino a Beit Lahiya quando questa è stata colpita da un missile israeliano che ha ucciso sua madre e suo fratello maggiore. Ora Mansour è ricoverato nel riparto di rianimazione dell'ospedale di al Shifa, con una meningite e ferite gravi alla testa. E' collegato ad un ventilatore ad energia elettrica: la sua speranza di sopravvivere dipende dal gasolio necessario per i cinque generatori, unica fonte di elettricità dell'ospedale. Per i medici se questo dovesse mancare Mansour e altri sei pazienti del reparto moriranno. Il taglio dei rifornimenti dell'energia elettrica metterebbe a rischio anche la vita di 30 bambini nati prematuri. Secondo l'appello di Oxfam, nell'ospedale di Shifa ci sono attualmente 135 malati di cancro che non possono ricevere i trattamenti necessari. Munir Mukheirz è uno dei pochi che ha ottenuto il permesso di lasciare la Striscia per farsi curare all'estero, dopo però mesi di quarantena in un ospedale di Gaza dove i medici gli hanno diagnosticato un tumore maligno. Mislih Mohammad Qalja e Fatin Majdi Al Hafnawi sono due bambini di 10 anni, morti sabato 26 gennaio a causa del divieto di lasciare la Striscia per cure mediche. Per l'attuale politica israeliana non solo le lastre per le radiografie o i filtri per l'acqua potabile, ma anche i malati sono pericolosi e vanno fermati alla frontiera. Lo stesso giorno organizzazioni israeliane, palestinesi e internazionali hanno inviato generi di prima necessità, medicine e cibo, al valico di Eretz, ma il convoglio umanitario, bloccato dall'esercito israeliano, è tuttora fermo in un Kibbutz vicino alla Striscia in attesa del permesso per l'ingresso a Gaza, mentre per i malati la speranza di vita rimane appesa ad un filo, quello dei generatori.

Una madre senza luce, acqua e gas

"A me non importa niente della politica, non lancio razzi Qassam e non manifesto in piazza: per questo è molto difficile spiegare ai miei quattro bambini il perché dell' embargo''. Iman Ahmed, 35 anni, è stata costretta come altre migliaia di persone nella Striscia a vivere per giorni senza luce, né acqua corrente, né gas. Con la minuscola fiammella di un fornelletto da campeggio Iman preparava la cena, mentre a stento controllava le grida dei bambini rimasti senza la distrazione di televisione o musica, ma con la fame, il freddo e la paura delle bombe fuori dalle finestre. L'embargo è anche questo. La giornata di Iman inizia con 123 scalini: l'autoclave per l'acqua del condominio è spento e così ogni mattina la donna scende dal terzo piano per riempire i secchi d'acqua gelida ma preziosa: «non se ne può sprecare nemmeno una goccia»'. Una doccia e lo sciacquone del bagno, diventano allora un lusso come le candele: «Ogni candela dura circa tre ore e non bisogna accenderne più di una perché anche quelle scarseggiano». La notte poi arriva anche il freddo, il riscaldamento è bloccato e non bastano le coperte: la gente a Gaza è costretta a lasciare le finestre socchiuse per evitare che i vetri si rompano per le esplosioni vicine. Immagino il sospiro di sollievo di Iman quando ha visto la breccia nel muro di Rafah: avrà pensato anche lei di fare scorte in Egitto. come Um Muhammed, 50 anni, che con i cinque figli ha attraversato il confine per un grande sacco di polvere da bucato: ''A Gaza prima era cara, poi introvabile''. Dalla breccia di Rafah sono passati asini carichi di cemento, tè, zucchero, formaggi, pecore, capre, mucche e cammelli: i prezzi della carne però sono ancora proibitivi. Mohamed Suleiman Mahmoud, proprietario di un supermercato a Gaza, ha ordinato una partita da 20.000 pound egiziani di formaggio, latte, frutta e verdura, ma il carico è stato trattenuto nel Sinai, mentre "I negozi nella Striscia sono vuoti e quello che è invece disponibile è troppo caro" parola di Youssef Ali, beduino di Rafah.

In cerca di casa… per evitare le bombe

Maher Al-Nazil ha chiesto a chiunque per trovare un appartamento in affitto nel campo profughi di Al-Maghazi. Maher ha vissuto per anni con la moglie e le sue tre figlie vicino a una stazione di polizia ai confini ovest del campo. Ora però ha paura che le bombe israeliane arrivino vicino casa sua: "Le immagini della famiglia distrutta quando una bomba ha centrato il Quartier generale del Ministero dell'interno a Gaza City mi sono rimaste negli occhi e non voglio che accada la stessa cosa ai miei figli". Come Maher, gran parte delle famiglie che vivono vicino ai ministeri, alle istituzioni nella Striscia hanno pensato di cercare una nuova casa per evitare di essere le "vittime collaterali" delle bombe israeliane: la possibilità di trovarne però è molto scarsa, quasi pari a zero, visto l'impoverimento generale, la mancanza di materiali per la costruzione e la conseguente carenza di nuovi appartamenti. Gli ufficiali dell'agenzia per la sicurezza dei civili a Gaza hanno avvertito da tempo la popolazione dei pericoli: i jet israeliani, gli F 16, lanciano bombe di una tonnellata e tutti gli edifici nel raggio di 200 metri dal sito bombardato vengono inevitabilmente danneggiati. Migliaia e migliaia di abitazioni, insieme ad alberi di arancio, datteri, palme , sono state rase al suolo o sradicati dall'esercito israeliano prima del suo ritiro unilaterale da Gaza, e la stessa aggressione continua oggi nei villaggi di Rafah, Beit Lahia, Beit Hanoun.

Traffico di spose nei tunnel di sabbia

Con la chiusura dei valichi e dei permessi centinaia e centinaia di famiglie sono state separate. I tunnel per i quali probabilmente passano armi e merci di contrabbando vengono usati anche per ricongiungere le famiglie. Sono mogli che tornano dai mariti o fidanzate che devono sposarsi costrette ad attraversare clandestinamente i tunnel sotterranei tra la Striscia e l'Egitto: anche loro vittime dell'isolamento di Gaza. Ed ovviamente c'è anche chi ne approfitta e fa affari. Abu Ashraf è il ''King'' del contrabbando di donne iniziato con l'ingresso clandestino nella Striscia delle mogli di amici: affidare a lui una moglie costa 3.000 dollari. Un tunnel in media arriva fino a 700 metri e l'attraversamento dura mezz'ora: un tempo infinito e non è difficile immaginare il panico, rinchiuse in un budello di buio senza ossigeno. Le donne allora vengono addormentate con uno spray, legate su barelle trascinate sul fango da un cavo, per risalire lentamente il tunnel fino a Gaza. Si tratta di ragazze di nazionalità diverse, non solo palestinesi senza documenti ma anche siriane, libanesi, egiziane, alcune russe e qualche rumena, sposate con palestinesi conosciuti all'estero: quasi sempre il marito è rientrato a casa prima dell'assedio, mentre loro sono state costrette a raggiungerlo clandestinamente. La breccia è stato un momento di respiro anche per loro e centinaia di famiglie divise si sono riunite senza dover scendere sotto terra. Come Mohammed bloccato ad el-Arish, a pochi chilometri dalla Striscia, e da cinque mesi diviso dalla sua famiglia. O come Emran Labbad, 33 anni di Gaza, alto, magro e vestito elegantemente che ha ritrovato attraverso la breccia la sua Heba, 25 anni, rifugiata palestinese in Egitto, che aveva promesso di sposare due anni prima ma che non aveva più rivisto. Queste sono storie di ordinaria occupazione e di denied entry, che riguardano non solo Gaza ma l'intero Territorio Occupato Palestinese, oggetto della Campagna per il Diritto di Ingresso e Rientro nei Territori Occupati Palestinesi ( http://www.righttoenter.ps). Con il confine di nuovo sigillato le donne torneranno ad infilarsi dentro ai cunicoli neri per rinchiudersi nel gigantesco carcere a cielo aperto della Striscia e Abu Ashraf, re del contrabbando di spose continuerà ad arricchirsi fino a quando un missile israeliano non distruggerà i tunnel, che '' in genere servono ad evadere dalle prigioni -ammette Abu Ashraf, re del contrabbando di spose- non ad entrarci. E quindi è vero amore". Noi operiamo invece perché quel traffico venga distrutto dalla libertà di movimento per tutti i palestinesi.

Luisa Morgantini

Fonte: Liberazione- UE' pubblicato il 02/02/2008

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