Sri Lanka: crisi senza tregua
Junko Terao
Gli appelli internazionali non sono serviti a convincere Colombo a fermare l’offensiva, che invece continua a fare vittime civili mentre nei campi di accoglienza, sovraffollati, la situazione è "catastrofica".
Avanti tutta. La risposta del governo dello Sri Lanka, impegnato in una guerra all’ultimo sangue contro le Tigri tamil nel nord del paese, ai numerosi appelli internazionali per una tregua è arrivata ieri a chiare lettere per bocca del brigadiere Shavendra Silva, portavoce dell’esercito: “non ci sarà nessuna pausa nell’offensiva contro i ribelli”. La tregua umanitaria, che permetterebbe alle decine di migliaia di civili ancora intrappolati nella cosiddetta “zona sicura” – così definita dall’esercito nonostante nelle ultime settimane sia diventata a tutti gli effetti il terreno dei combattimenti – di mettersi al riparo da bombe e proiettili, è stata ripetutamente invocata via via che la situazione degenerava. Giovedì l’appello del segretario generale dell’Onu, Ban ki Moon, che ha chiesto ai ribelli tamil di deporre le armi e al governo di Colombo di fermare l’offensiva. Ma l’esercito ha ordine di andare avanti, costi quel che costi, anche in termini di vittime. Secondo un rapporto Onu diffuso l’altro ieri, da gennaio sono morti a causa del conflitto 6.432 civili, molti dei quali bambini, e i feriti sono quasi 14mila. Cifre evidentemente insostenibili di fronte alla comunità internazionale, così ieri Colombo ha dato il via libera a una squadra di soccorso dell’Onu. Da mesi l’accesso alla zona calda è interdetto a membri delle organizzazioni internazionali, giornalisti e osservatori esterni e a raccontare la guerra sono i pochi testimoni presenti nei campi per gli sfollati. La crisi, nel nord del paese, ha raggiunto proporzioni “catastrofiche” stando alle parole del Comitato internazionale della croce rossa, l’unica organizzazione umanitaria ancora ammessa nella zona del conflitto. I civili tamil sono costretti in condizioni disumane, non solo nella “zona sicura”, dove sono trattenuti dai ribelli dell’Ltte (Tigri di liberazione del tamil Eelam) sotto le bombe dell’esercito, ma anche nelle zone circostanti, dove i militari hanno allestito campi di accoglienza e dove operano, oltre al Cicr, anche altre organizzazioni come Medici senza frontiere (Msf) e Caritas. Nei campi, sovraffollati, manca tutto: acqua corrente, cibo, medicine, materiale sanitario. Da lunedì i civili che in seguito all’avanzata dell’esercito sono riusciti a lasciare la zona del conflitto – ridotta ormai a meno di dieci chilometri quadrati nell’area di Vanni–, sono stati quasi 100mila. Gli operatori di Msf, presenti nell’ospedale e nei campi allestiti dal governo a Vavuniya, dove arrivano gli echi degli spari e delle esplosioni provenienti da Vanni, parlano di “autobus che continuano ad arrivare carichi di civili, alcuni dei quali muoiono nel tragitto e arrivano già cadaveri”. Le ferite sono soprattutto causate da proiettili shrapnel – per artiglieria -, mine e granate. Ma nell’ospedale, che potrebbe ospitare 400 pazienti, ce ne sono adesso già1200. “I letti sono stati uniti tutti insieme, per ogni letto ci sono due persone: è come un unico grande letto nel reparto”, racconta Karen Stewart, membro dell’organizzazione. Viene utilizzato anche il suolo, abbiamo molte persone sotto i letti, così ce ne stanno il doppio. E altra gente è sdraiata fuori, sopra materassi messi a terra”. Oltre alle condizioni disumane dei campi, già denunciate pochi giorni fa da un medico srilankese che accusava il governo di non mandare sul posto rifornimenti e rinforzi a sufficienza, c’è il problema che gli sfollati non hanno libertà di movimento tra un campo e l’altro e non possono avere notizie dei propri familiari. “Arrivano feriti, confusi e dimagriti e vengono messi in campi che non possono lasciare – continua Stewart -. Non hanno alcuna comunicazione con l’esterno. Non hanno nulla. Ci posso essere marito e moglie in due campi diversi e non lo possono sapere”. Oltre a Ban ki Moon, anche Usa, Gran Bretagna, India e il Consiglio di sicurezza dell’Onu hanno chiesto ufficialmente al presidente Mahinda Rajapaska di fermare le operazioni militari, ma il governo sembra deciso ad andare avanti per chiudere definitivamente – ma questo è tutto da vedere – una guerra civile che dura da quasi 30 anni e che ha già fatto decine di migliaia di morti. Ormai le Tigri accerchiate nel fazzoletto di giungla di Vanni sono ridotte a poche centinaia, ma la parola fine arriverà, forse, solo quando il ricercato numero uno, Velupillai Prabhakaran, leader fondatore dell’Ltte, cadrà nelle mani dell’esercito. I militari assicurano che Prabhakaran, che non viene avvistato da 18 mesi e per questo si sospetta sia già morto, è stato individuato nel sud della “zona sicura” e che l’unica via di fuga, per lui, potrebbe essere il mare. Se questa fase del conflitto tra Colombo e le Tigri sembra ormai al termine, il grande interrogativo è cosa ne sarà di tutti i tamil sopravvissuti a questi mesi di guerra e sfollati in un’area del paese povera e dalle condizioni climatiche difficili.
Fonte: il Manifesto
25 aprile 2009