Sri Lanka, ancora bombe sui civili
Junko Terao
L’esercito nega, ma due medici dell’ospedale bombardato hanno fatto circolare le immagini. L’obiettivo centrato, stavolta, è un ospedale di Mullivaikal, dove tra venerdì e sabato sono state uccise 91 persone.
Bombe sui civili nel nord dello Sri Lanka. Ancora. Nonostante l’annuncio del governo, meno di una settimana fa, che l’esercito non avrebbe più fatto ricorso ad attacchi aerei, nè all’artiglieria pesante nella ‘safe zone’, la zona cosiddetta “sicura”, che, a dispetto del nome, è il terreno dei combattimenti tra militari e Ltte (Tigri per la liberazione del Tamil Eelam), dove rimangono intrappolate ancora decine di migliaia di civili. L’obbiettivo centrato, stavolta, è un ospedale di Mullivaikal, dove tra venerdì e sabato sono state uccise 91 persone. La denuncia era arrivata inizialmente tramite il sito Tamilnet, vicino alle Tigri, poi confermata da due medici dell’ospedale bombardato che hanno fatto circolare le immagini delle strutture danneggiate e dei pazienti morti. Accuse rigettate dall’esercito, secondo cui a provocare la strage sarebbero stati gli attacchi suicidi delle Tigri, almeno 8 negli ultimi due giorni. Il portavoce dell’esercito ha ribadito che da lunedì scorso i bombardamenti sono terminati. Verificare è impossibile, dato che nella zona dei combattimenti non sono ammessi osservatori esterni, ma appare sempre più chiaro che il governo intende andare avanti nell’ “offensiva finale” contro i guerriglieri, iniziata a gennaio, con ogni mezzo. Ieri l’Onu ha pubblicato immagini prese dall’alto il 19 aprile in cui si vedono chiaramente i crateri provocati dalle bombe nella “safe zone”. Anche in questo caso la replica dell’esercito è stata secca: non siamo stati noi, ma gli attacchi suicidi dei ribelli. A quanto dice il governo di Colombo, le Tigri sono allo stremo e le operazioni militari stanno procedendo solo allo scopo di liberare i civili dai 12 km quadrati ancora in mano all’Ltte. Ma la carneficina continua, e a nulla sono serviti, finora, i tentativi internazionali di ottenere almeno una tregua.
Fonte: Lettera22, il manifesto
3 maggio 2009