Sri Lanka al voto
Junko Terao
Oggi gli srilankesi votano per scegliere se cementare il potere di Rajapaksa che punta ad altri sei anni di presidenza o se optare per il cambiamento. Ma se davvero Sarath Fonseka è tutto da vedere.
Dopo due mesi di campagna elettorale dominata da accuse pesanti,violenza, quattro morti e centinaia di feriti, oggi in Sri Lanka si vota. Otto mesi dopo la fine di una guerra civile quasi trentennale e con due anni di anticipo, per volere dell’attuale presidente Mahinda Rajapaksa, 14 milioni di srilankesi sono chiamati a decidere se assicurargli altri sei anni di potere assoluto o se sperare in un cambiamento e optare per l’avversario. Il clima è incandescente e il paese blindato. Un’ingente dispiegamento di forze dell’ordine, in un paese dove vige lo stato di emergenza dal 2005, dovrà cercare di contenere i probabili disordini tra gli schieramenti dei due candidati: Rajapaksa e l’ex generale dell’esercito Sarath Fonseka. Sfruttando il consenso popolare derivatogli dal successo dell’offensiva finale contro i ribelli dell’Ltte (Tigri di liberazione del tamil Eelam) – costata la vita ad almeno settemila civili tamil, secondo le stime dell’Onu – l’attuale presidente ha deciso il voto anticipato pensando di fare l’en plein e cementare così il suo potere. Mai, tuttavia, Rajapaksa avrebbe immaginato che anche l’altro eroe della vittoria contro le Tigri avrebbe reclamato la sua parte di successo, rovinandogli la festa e complicandogli le cose. Il candidato dell’opposizione, infatti, è l’ex generale che ha guidato le operazioni militari contro le Tigri nel nord del paese. Per settimane, la scorsa primavera, 250mila civili sono rimasti intrappolati insieme ai guerriglieri in un fazzoletto di giungla chiamato ‘no fire zone’ ma bersagliato dagli attacchi dell’esercito che eseguiva gli ordini di Fonseka. Il quale, a sua volta, metteva in pratica le indicazioni di Rajapaksa. Se si aprisse un’indagine indipendente sui crimini umanitari commessi nei mesi di guerra – come chiede l’Onu da mesi e come ha indicato pochi giorni fa il Tribunale permanente dei popoli – entrambi risulterebbero responsabili. Mente e braccio della guerra all’Ltte si sfidano in una gara in cui decisivo, ironia della sorte, sarà il voto della minoranza tamil. Almeno quello dei tamil che andranno a votare. Centomila dei 250mila sfollati alla fine della guerra, infatti, sono ancora nei campi gestiti dai militari nel nord del paese. Certo, si muovono con maggiore libertà rispetto a prima, quando vivevano da reclusi senza poter metter piede fuori, ma sul fatto che godano di pieni diritti ci sono molti dubbi. Magia della campagna elettorale e di un corteggiamento dell’elettorato tamil da parte del governo che ha portato, alla fine di dicembre, alla liberazione di 150mila sfollati, molti dei quali, in realtà, semplicemente trasferiti in centri di accoglienza. Ma quanti di questi andranno alle urne è da vedere. Certo è che nessuno dei due candidati è stato in grado di suscitare il loro entusiasmo. Se per la maggiornaza singalese della popolazione i due sono eroi da premiare, per i tamil, che sono il 12,5% degli abitanti di Sri Lanka, sono i responsabili dei massacri di civili dello scorso anno. Nonostante entrambi i candidati abbiano promesso riforme per dare maggior potere alle regioni a maggiornaza tamil– quella settentrionale e quella orientale -, favorirne lo sviluppo e riconsegnarne ai civili il controllo, nessuno dei due è stato molto convincente. Solo la scelta dell’Alleanza nazionale tamil, partito considerato vicino all’Ltte, di appoggiare Fonseka potrà forse muovere qualche voto a favore del candidato dell’opposizione. Che dalla sua ha anche il fatto di essere un novello della politica: rispetto a Rajapaksa, che in cinque anni di presidenza ha governato a colpi di dispotismo, intimidazioni, violenza e corruzione, Fonseka non ha mai avuto l’opportunità di mostrare di cosa è capace. C’è chi, tra i tamil, spera davvero che l’ex generale rappresenti il cambiamento. Una replica delle elezioni del 2005, in cui la minoranza si astenne in massa per volere dell’Ltte, decretando la vittoria di Rajapaksa, è improbabile. Vero è che le intimidazioni continuano e lo strapotere in mano al governo e all’esercito grazie allo stato d’emergenza ormai ingiustificato non assicurano le libertà fondamentali. Per contrastare il rivale, Rajapaksa ha sguinzagliato i media locali che, secondo Reporters senza frontiere, hanno trasmesso per il 98,5% notizie a suo sostegno. Gli osservatori elettorali indipendenti hanno già dichiarato che mancano le condizioni per un voto libero e il fatto che il capo della commissione elettorale, Dayananda Dissanayake, nei giorni scorsi abbia annunciato le sue dimissioni subito dopo le elezioni, la dice lunga. La campagna elettorale si è conclusa senza che i due candidati si siano mai confrontati in un dibattito serio sui temi cruciali per il paese. Piuttosto, gli srilankesi hanno assistito a uno spettacolo poco nobile di reciproche accuse e slogan populistici. Ha fatto molto scalpore l’intervista rilasciata al Sunday Leader, autorevole voce indipendente della stampa del paese, in cui l’ex generale ha rivelato che negli ultimi giorni della guerra il ministro della Difesa, Gothabaya Rajapaksa, fratello del presidente uscente, aveva ordinato le esecuzioni sommarie dei i militanti dell’Ltte fatti prigionieri. Una notizia che ha pochi giorni dopo il candidato dell’opposizione, accusato dal governo di essere un “traditore”, ha ritrattato dicendo di essere stato “male interpretato”. La rivelazione confermerebbe le accuse dell’Onu che recentemente ha confermato l’autenticità di un video che documenta quelle esecuzioni.
Fonte: Lettera22, il Manifesto
26 gennaio 2010