Somalia, strategia perdente non si cambia?


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Gli errori e le occasioni mancate per raggiungere la pace, le responsabilità della comunità internazionale, le possibili vie d’uscita dalla crisi. L’analisi di Nino Sergi, segretario generale della ong Intersos.


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Somalia, strategia perdente non si cambia?

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Tre milioni di sfollati che sopravvivono con gli aiuti internazionali, cinquecentomila rifugiati nei Paesi limitrofi, una diaspora di due milioni di somali sparsi nel mondo, vent'anni di instabilità, guerra civile e dissidi interni. Potenzialmente 'un altro Afghanistan', pronto a far bruciare la miccia del terrorismo e a dilaniare un Paese che da anni ha avviato un lento e faticoso processo di riconciliazione nazionale. E' la fotografia della Somalia di oggi scattata dalla ong Intersos. Che cosa sta succedendo in Somalia? E' la domanda cui cerca di rispondere l'organizzazione non governativa, da due decenni nel Paese dilaniato dalla guerra in cui le fragili istituzioni si trovano oggi accerchiate da un jihadismo aggressivo e da una pirateria in crescita. Il documento 'Somalia. Incubo o occasione di ripensamento per la comunità internazionale?', a cura del segretario generale di Intersos Nino Sergi, si propone di riportare l'attenzione su questo Paese con una denuncia degli errori commessi, e con la proposta di rivedere la strategia (perdente) portata avanti finora dalla comunità internazionale. Partendo dalla conferenza di Istanbul di maggio, Sergi ripercorre gli eventi dalla fine della conferenza di pace del 2004 per cercare di capire le possibili vie d'uscita dalla crisi.
 
Le ragioni dei pescatori-pirati

"Vi sono da un lato la mancanza di un'efficace e condivisa linea strategica nei paesi che seguono la Somalia sotto il coordinamento dell'Onu", scrive Sergi, "e dall'altro un sorprendente contrasto tra i discorsi e l'impegno della comunita' internazionale e la tragica realta' del Paese, con le sue deboli istituzioni, i conflitti interni, un'opposizione armata che controlla gia' 8 regioni su 9 del centro-sud del paese e i quattro quinti di Mogadiscio; la crescente pirateria e con due grandi regioni che rivendicano e vivono una propria autonomia". Sulla pirateria, con attacchi che si raddoppiano ogni anno e con un numero di pirati triplicato nel 2009, viene evidenziato quanto poco peso sia stato dato alle ragioni e preoccupazioni dei somali con l'intervento limitato al mare e alle forze armate navali. "Che un migliaio di pescherecci agissero da anni indisturbati nelle acque davanti alla Somalia, con un pescato stimato a piu' di 200mila tonnellate annue valutato in almeno 450 milioni di dollari, totalmente esentasse e con gravi conseguenze sul depauperamento della fauna marina e sui pescatori somali, e' stato da tutti considerato normale", spiega Sergi, "alcuni somali non hanno piu' inteso considerarlo tale, e hanno proceduto con metodi propri, sbagliati certo, ma senza alternative. La giusta lotta internazionale alla pirateria sarebbe piu' credibile ed efficace se al contempo si stabilissero regole, condivise con le autorita' somale, contro la pesca clandestina e il saccheggio di quei mari e fossero aiutati a crescere i pescatori e le comunita' delle regioni costiere". 

Dove va la Somalia
L'analisi di Intersos prende in esame da le realta' jihadistiche somale, la loro organizzazione, le divisioni interne ma anche "il collante del fanatismo e del successo ottenuto, il peso della loro presenza sulla societa' e la cultura somala, l'attrazione di giovani frustrati senza alcuna speranza, la somiglianza con i taliban afghani". Dall'altro lato, il documento si sofferma sulle istituzioni somale descrivendole come "nate senza grandi valori, frutto di calcoli interni e esterni alla Somalia, pesi e contrappesi, il cui senso della comunita' e del bene comune e' dominato pesantemente dall'interesse personale, familiare e clanico. "La guerra che si sta ora combattendo riguarda l'anima stessa della Somalia", sottolinea il segretario generale Intersos, "che nonostante le resistenze dei somali sta rapidamente trasformandosi, con la forzata imposizione di volonta' e disegni esterni. Non e' una questione destinata a rimanere entro i confini nazionali: cio' che diventera' la Somalia avra' ripercussioni sull'intera area e altrove, data anche la numerosa diaspora somala". Per Intersos si impongono radicali cambiamenti da parte delle Nazioni Unite e degli altri attori internazionali. "Suonerebbe strano -fa notare Sergi- se si pretendesse di disegnare e attuare una nuova strategia senza ripensare radicalmente il sistema che ha portato alla tragica situazione attuale e senza toccare quella miriade di esperti che si sono resi responsabili dell'attuale stato comatoso della Somalia". Il documento esprime quindi alcune valutazioni sul coordinamento dell'Onu, sulla coalizione delle organizzazioni internazionali e degli Stati interessati alla Somalia, sul "debole" ruolo dell'Ue e su quello dell'Italia che considera l'area di "interesse prioritario per la politica estera" ma senza "impegni concreti". Piu' in generale, per Intersos la comunita' internazionale dovrebbe iniziare "un ampio ripensamento della propria concezione delle istituzioni democratiche" nel post conflitto e dei modelli, tempi e modalita' da adottare. L'ong auspica che la prossima riunione del Gruppo internazionale di Contatto, la coalizione interessata alla Somalia, annunciata per settembre in Spagna, "sia al livello dei ministri e non dei soli funzionari al fine di rimodellare, con le istituzioni somale, la strategia e gli strumenti da adottare e di prendere le necessarie decisioni in modo impegnativo e vincolante".

Fonte: OngAgiMondo

editoriale giugno 2010

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