Siria: 45mila in fuga da Deraa
Nena News
Da dieci giorni la controffensiva governativa sul sud del paese si è intensificata: raid aerei e ora operazione terrestre. Decine di migliaia di persone stanno scappando, ma Amman tiene chiuse le frontiere.
La battaglia per Deraa, provincia meridionale della Siria, triangolo di terra tra il territorio siriano, la Giordania e il Golan occupato da Israele nel 1967, ha raggiunto il suo apice: dopo la ripresa di Ghouta est, da dieci giorni l’esercito governativo ha lanciato un’ampia controffensiva per liberare una delle poche roccaforti rimaste alle opposizioni di matrice islamista. Oltre Idlib, dove da anni gli accordi di evacuazione siglati con Damasco ammassano miliziani qaedisti e jihadisti, Deraa e Quneitra a sud restano controllate dai gruppi armati anti-Assad.
Gli attacchi governativi su Deraa sono già cominciati da tempo, almeno un anno fa, ma è in queste ultime settimane che Damasco ha alzato il tiro. Raid aerei ininterrotti da giorni per aprire la strada alla prossima fase, l’ingresso via terra delle truppe dell’esercito regolare. Ieri le truppe hanno ripreso due cittadine strategiche e sono arrivate alle porte del capoluogo, Deraa. Da alcuni giorni l’aviazione sta lanciando volantini sulla città, chiedendo alle milizie armate di arrendersi: il governo preme per ottenere un’altra vittoria fondamentale, la penultima, forzando l’accordo di Astana tra Russia, Iran e Turchia che aveva individuato nel sud una delle quattro de-escalation zone dove interrompere i combattimenti.
Ma la zona è strategica, soprattutto per la vicinanza al Golan siriano occupato dove Israele da tempo compie operazioni di sostegno alle milizie di opposizione, secondo quanto affermato dalle Nazioni Unite in rapporti degli anni passati. Tel Aviv ha sempre visto nel sud della Siria la zona più delicata per i propri interessi: nessuna presenza di forze iraniane e libanesi è ammessa dal governo israeliano che per raggiungere l’obiettivo è da anni impegnata in operazioni aeree e negoziati con Mosca.
Dal 19 giugno a oggi si contano almeno 41 morti, di cui 27 civili, e oltre 100 feriti, secondo il bilancio delle opposizioni. Ed è proprio la situazione dei 750mila residenti nell’area a preoccupare. Ieri le Nazioni Unite hanno denunciato la fuga di almeno 45mila civili da Deraa, tutti diretti verso il confine giordano nella speranza di attraversarlo e mettersi in salvo dagli scontri. Ma le frontiere giordane sono sigillate, ormai da due anni: dopo aver aperto le porte e aver accolto oltre 660mila rifugiati siriani – di cui l’80% non risiede in campi profughi formali, ma nelle città e i villaggi del paese – a giugno 2016 Amman ha deciso di chiuderle. La decisione è arrivata dopo un attentato terroristico contro un posto di blocco dell’esercito, nell’ovest del paese, a poca distanza dal campo profughi informale di Rukban.
Un campo nella terra di nessuno, tra Siria e Giordania, in mezzo al deserto: qui erano arrivate 75mila persone, senza aiuti né sostegno. Dopo l’attacco, la Giordania ha chiuso i confini e impedito per lungo tempo, in piena estate, alle organizzazioni internazionali di raggiungere Rukban, lasciando decine di migliaia di persone senza cibo né acqua.
A monte, però, più che il timore di attentati sta quello per la tenuta sociale interna: l’arrivo di tanti profughi siriani, a cui si aggiungono rifugiati iracheni e afghani, ha destabilizzato un paese già fragile, retto su rapporti clientelari e di clan e sul ruolo di collante della monarchia hashemita. Ma la crisi economica è arrivata fin qui e in tanti hanno iniziato a vedere nei rifugiati siriani la radice dei problemi, perché disposti a lavorare per salari bassi. La Giordania, con 89 rifugiati su mille abitanti, è il secondo paese al mondo dopo il Libano per presenza di profughi in proporzione alla popolazione.
Nena News
27 giugno 2018