Si combatte e si muore intorno a Damasco


Michele Giorgio - Near Neast News Agency


Da due giorni la periferia e, pare, anche zone centrali della capitale siriana sono teatro di combattimenti durissimi tra esercito e ribelli. Nessun soluzione politica in vista.


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damascosco

Il vertice della Conferenza della cooperazione islamica si è chiuso ieri al Cairo con un appello a «un dialogo serio» fra l’opposizione siriana e i rappresentanti di Damasco che «siano pronti al cambiamento politico». Ma «dialogo» è una parola sconosciuta nelle strade della Siria dove si intensificano i combattimenti tra ribelli e le forze governative. Anche a Damasco.

Nella capitale, o meglio alla sua periferia, ieri è proseguita quella che gli uomini dell’Esercito libero siriano (Els), la milizia ribelle, chiamano «Operazione Epica». Non è un attacco di ampie proporzioni come quello dello scorso luglio, quando almeno 5mila ribelli, sostenuti da jihadisti giunti da altri paesi, si lanciarono all’offensiva certi di dare una «spallata decisiva» al regime frastornato da un attentato che, poche ore prima, aveva decapitato i vertici della difesa e dei servizi segreti. Si tratta comunque di una operazione articolatae che, nelle intenzioni dei ribelli, dovrebbe mettere in difficoltà il regime nella sua roccaforte, Damasco.

A guidarla ci sono ufficiali sunniti disertori, hanno riferito fonti dei ribelli alla Reuters, a conferma del carattere settario sempre più marcato della guerra civile siriana.

Le due parti in lotta continuano a dare resoconti opposti e non verificabili da fonti indipendenti. Non è chiaro se scontri siano effettivamente avvenuti nel quartiere di Jawbar, che rappresenta il punto di ingresso per il controllo di piazza degli Abbasidi, nel centro di Damasco. I morti e i feriti sembrano essere l’unica certezza che arriva da Johar, sobborgo della capitale situato in un’area strategica, dove si è combattuto senza sosta per ore. Scontri sono avvenuti inoltre a Jawbar, Zamalka e Hajar al-Aswad mentre l’aviazione ha bombardato il tratto sud del raccordo anulare, che di fatto costituisce il confine tra la zona dove si concentra il maggior numero dei ribelli armati e quella sotto il pieno controllo del governo. Morti, feriti e devastazioni anche a Tadamon e nei pressi del campo profughi palestinese di Yarmouk.

La televisione di stato ha riferito che sei persone, tra le quali 3 bambini e una donna, sono state uccise da colpi di mortaio sparati dai «terroristi» (i ribelli) e caduti su una fermata degli autobus a Qaboun. Sarebbero stati invece colpi di artiglieria della Guardia Repubblicana schierata sul Monte Qasioun, che domina Damasco, a provocare diverse vittime a Johar. Secondo il governo oltre 400 «terroristi» sono stati uccisi nelle ultime ore attorno a Damasco: 268 miliziani nei sobborghi sud, Beit Sahem e Harran al Awamid, località in prossimità dell’aeroporto di Damasco, e altri 200 in quelli occidentali e settentrionali, come Daraya, Jawbar e Irbin. Anche in questo caso è impossibile verificare la notizia.

L’ultima escalation ridimensiona l’apertura al dialogo con il regime che, sia pure in modo limitato, ha offerto Mouaz Khatib, il leader della coalizione delle forze di opposizione. Quest’ultimo – che non intende negoziare con il presidente Bashar Assad ma con il suo vice Farouk a-Shara – è tornato a ripetere che il governo deve liberare tutti i prigionieri politici, in particolare le donne entro domenica, altrimenti l’offerta di dialogo sarà ritirata. In questo caso Khatib non sembra rappresentare tutta l’opposizione. Formazioni più radicali insistono che la soluzione politica della guerra civile è possibile solo escludendo totalmente il regime da un eventuale negoziato. Il governo e la presidenza, per ora, hanno ignorato la proposta. Secondo il deputato Fayez Sayegh il dialogo deve iniziare «senza precondizioni», altrimenti non avrà alcuna possibilità.

Intanto in Libano, di fatto il secondo fronte della guerra civile siriana, aumenta il razzismo nei confronti dei circa 200mila profughi arrivati dalla Siria negli ultimi due anni. «Nelle ultime settimane – ha spiegato al quotidiano di Beirut Daily Star Farah Salka, la coordinatrice della ong Anti-Racism Movement – si assiste ad atteggiamenti razzisti contro i rifugiati, ritenuti responsabili della concorrenza per il lavoro e della criminalità». Accuse che non corrispondono alla realtà.

Fonte: http://nena-news.globalist.it
8 febbraio 2013

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