Sembra Rosarno. È Zingonia


Andrea Palladino


Come espellere gli immigrati e risanare un «ghetto» facendo leva sull’acqua privatizzata. Nel quartiere del bergamasco simbolo dell’industrializzazione anni ’60 senegalesi, pachistani e magrebini lentamente vanno via. Basta che uno non paghi e arrivano alpini e polizia a chiudere i rubinetti a tutto il palazzo.


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Sembra Rosarno. È Zingonia

Sono 1231 i chilometri che dividono Rosarno dalla provincia di Bergamo. Una linea che una volta era percorsa dai migranti del meridione d’Italia, accolti oltre il Po dai cartelli «non si affitta ai terroni». Per loro, per i volti mediterranei di Rocco e i suoi fratelli, per quelle lingue aspirate che odoravano di mare e di terre abbandonate, c’era chi costruiva case e interi quartieri dedicati, pensati solo per accogliere i migranti. Lontani dai centri delle città, in quella periferia fatta di palazzoni allineati. Serviva la mano d’opera per la lingua di terra tra Bergamo, Brescia e Milano. Ne serviva tanta, subito e a basso costo.
È nata così Zingonia, enorme speculazione un po’ surreale alle porte di Bergamo. Le fabbriche, le villette per i dirigenti e, a pochi metri dalla strada statale che fa da confine con il borgo antico di Ciserano, sei torri per loro, i meridionali.
In cinquantanni tutto è cambiato, per non cambiare nulla. Tra gli anziani della bassa bergamasca anche le polacche che fanno le badanti vengono chiamate ancora oggi terrune. L’africano che lavora in fabbrica è solo un niger, e nei bar con la bandiera della Lega non si fa vedere. Nella bassa regno dei duri fedeli
di Maroni, di Borghezio e di Bossi, c’è oggi la crisi. Dall’aeroplano diretto a Orio al Serio si possono contare le poche automobili stazionate davanti ai capannoni industriali, facendo una statistica molto empirica ma visivamente efficace. Parcheggi deserti, pochissimi camion, capannoni chiusi. Passa la crisi vera, quella industriale, quella cattiva, quel vento che lascia le persone a casa. Quel male che ha portato un operaio a suicidarsi, a darsi fuoco davanti ad uno dei tanti piazzali vuoti, grigi e inutili.
E così anche Zingonia deve cambiare. I niger e «le facce da cammello» – come il neopresidente leghista della provincia di Bergamo amava chiamare i magrebini – devono andare via. Il quartiere simbolo dell’industrializzazione costruito da Renzo Zingone nel 1964 – prima vera speculazione edilizia del nord Italia – è ormai da buttare giù. Come a Rosarno è da ripulire, estirpare, cacciandola
dalle mappe.

L’arma dell’acqua
I sei palazzi di Zingonia sono oggi abitati da 150 famiglie, tutte o quasi composte da migranti stranieri. Prevalgono i senegalesi, i pachistani e i magrebini. Non sono case popolari, gestite da enti o dal comune. Chi è entrato nei palazzi di Zingonia paga un affitto o, molto spesso, ha comprato gli appartamenti dai precedenti inquilini italiani. Cacciare via tutti, come vuole la Lega, è dunque un problema. Il 3 dicembre scorso la mattina un gruppo di  tecnici della Bas – azienda di gestione dell’acqua controllata da A2A – taglia i tubi dell’acqua, facendo scoppiare una rivolta di alcune ore. La società si era presentata con un conto salatissimo di quasi 400 mila euro di bollette non pagate. Ma non tutto è in realtà così chiaro.
Facendo due conti, in uno dei sei palazzi risulta un consumo idrico per l’ultimo anno di quasi novecento euro a famiglia. È evidente quindi che i conti non tornano. A fine dicembre le famiglie di Zingonia hanno raccolto tredicimila euro, consegnati al sindaco di Ciserano, che a sua volta li ha versati all’azienda controllata da A2A. Un primo acconto che ha permesso la riapertura dei rubinetti. Ai signorotti bergamaschi dell’acqua però non è bastato: i quattrocento mila euro di arretrati li vogliono tutti.
 
Divide et impera
«Abbiamo un accordo», ha annunciato a fine anno Enea Biagini, il sindaco ex Ppi – oggi Pd – di Ciserano. Un patto firmato da lui, da A2A e da rappresentanti dei condomini scelti sul campo, senza una regolare assemblea di condominio. Anzi, il condominio da anni non c’è più, dopo che l’ultimo amministratore si è dimesso. L’accordo prevede che ogni famiglia delle torri di Zingonia versi 125 euro, tutti i mesi. In un anno sono 1500 euro, per l’acqua di A2A. La raccolta dei soldi è affidata dall’improvvisato capo condominio, che ogni mese deve girare tra gli otto piani del palazzo chiedendo alle famiglie senza lavoro o in cassa integrazione quei soldi. Basta che qualcuno non paghi e a fine mese l’acqua viene tagliata di nuovo, all’intero palazzo. Così è successo all’inizio di questa settimana ad un condominio. E così probabilmente tra qualche giorno accadrà per un’altra torre di Zingonia.
Dopo la protesta dura del 3 dicembre il taglio dell’acqua anche qui avviene con la copertura di forze armate. A differenza di Aprilia – dove le ronde di Acqualatina sono accompagnate dai vigilantes privati – l’ordine pubblico è garantito dagli alpini, dai carabinieri e dalla polizia locale. E se tagliano l’acqua diventa più facile dare la colpa a quelle famiglie che non sono riuscite a mettere i 125 euro mensili, dividendo così la comunità degli stranieri.
 
Via tutti
L’esodo è così iniziato. Chi può, chi trova un’altra casa, chi non ha un mutuo da pagare ha già lasciato Zingonia. Perché rimanere, d’altra parte: quelle torri dovranno essere abbattute, per far spazio all’economia speculativa che del lavoro se ne frega. I caterpillar e l’esplosivo per buttare giù i palazzi creati per i migranti del sud Italia nel 1964 sono già pronti, nascosti dietro i presidi fascisti della Lega. Sul sito esecuzionigiudiziarie.it ci sono oggi undici appartamenti di Zingonia all’asta. Famiglie di stranieri che non sono riuscite a pagare il mutuo e che hanno perso la casa. Il valore è precipitato sotto i 50 mila euro. In alcuni
casi un appartamento è offerto all’asta a 18 mila euro, con una valutazione della perizia di 48 mila euro. E anche qui, come per il calcolo delle bollette dell’acqua del 2009, c’è qualcosa che non torna. Tutte le perizie, tranne una, mettono nero su bianco che nei palazzi di Zingonia non ci sono debiti di condominio o di acqua. «L’amministratore non si trova», spiegano i periti e, dunque, nessuno sa quali siano i reali debiti. E dato che il contatore è sempre stato condominiale, è impossibile oggi per le famiglie di Zingonia stabilire con certezza se i conti presentati da A2A sono corretti.
Analizzando poi le storie giudiziarie degli undici appartamenti che andranno
all’asta si scopre anche il mercato clandestino degli affitti in nero. E qui gli italiani entrano in scena. C’è il caso ad esempio di un appartamento di proprietà di un italiano, dove gli ufficiali giudiziari hanno trovato una famiglia di stranieri. «Abbiamo un contratto d’affitto», hanno risposto, mostrando un accordo mai registrato. «A chi pagate?», ha chiesto il perito del Tribunale: «A un
tale Massimo, che raccoglie i soldi tutti i mesi, perché il padrone di casa non lo abbiamo mai visto», è stata la risposta. Inutile parlare con Massimo, ovviamente, perché dove sia finito il padrone non lo ha voluto dire neanche ai periti del Tribunale. Gli appartamenti vuoti sono stati poi murati dal Comune di Ciserano, per evitare che altre famiglie potessero entrare. Fino ad oggi sono stati chiusi 22 appartamenti e di questi almeno tre erano di proprietà di italiani,
ma utilizzati da famiglie di stranieri, spesso irregolari.
Oggi con la scure del taglio dell’acqua – dopo che già da cinque anni è stato tagliato il riscaldamento – buona parte delle famiglie vorrebbe andarsene. Il problema rimane per chi è in regola con il pagamento dei mutui – e non sono pochi – per chi in quell’appartamento ha visto la possibilità di un riscatto, di una vita normale, di un futuro per i figli. Tanti sono qui da anni, riescono a mantenere un lavoro, magari precario, magari al nero. Mandano i figli nelle scuole, dove – nonostante Gelmini e la Lega – fanno amicizia, studiano, hanno insegnanti che conoscono. È contro queste famiglie che l’arma del debito dell’acqua è oggi usata: rimanere con i rubinetti a secco ed essere costretti a
usare le fontanelle dei cortili, in pieno inverno e con gli ascensori rotti è
la “exit strategy”. Perché su Zingonia si prepara un futuro milionario.
 
Le mani su Zingonia
In nome della sicurezza da queste parti si fa di tutto. Ed è una sicurezza asimmetrica, dove al sicuro si devono mettere solo i capitali. Le famiglie, la casa ed il lavoro si possono buttar via. «Zingonia è un ghetto». «Zingonia è il regno dello spaccio». «A Zingonia è meglio non entrare». Da un anno il martellamento
mediatico è intenso. E così quando è stato presentato il nuovo contratto di quartiere per la zona tutti erano felici. I sei palazzi venivano buttati giù, la zona veniva destinata allo sviluppo del commercio e i privati potevano investire. Nella versione presentata pubblicamente del progetto c’era anche la realizzazione
delle nuove case per le famiglie che abitano le sei torri, i condomini Athena e Anna: accanto alla speculazione c’era un minimo di criterio di vero sviluppo sociale.
«Io ho preso possesso l’8 giugno – racconta il sindaco di Ciserano Biagini – e il 10 la regione mi ha chiesto tutti i progetti preliminari, pena il respingimento
del contratto di quartiere ». Impossibile ovviamente riuscire a mandare la documentazione. E così il progetto della nuova Zingonia con un volto più umano è caduto, cassato dalla Regione Lombardia.
Arrivano le elezioni provinciali, la Lega che sulla cacciata degli stranieri di Zingonia aveva fatto la sua principale battaglia, si aggiudica il posto di presidente. A ottobre parte la nuova proposta dalla Regione: il progetto va rimodulato – spiegano in una riunione a porte chiuse – vi diamo 5 milioni di euro per espropriare tutto e le terre le assegniamo con «bandi ad hoc». Sparisce tutto lo studio sociale ed economico, rimane solo la speculazione. Passa un mese ed ecco che la A2A inizia a tagliare l’acqua e a chiedere cifre impossibili alle famiglie. Una fortuita coincidenza, ovviamente. Zingonia probabilmente morirà. Le 150 famiglie verranno espulse, mandate via come è accaduto a Rosarno. Ma per la Lega potrebbe essere una battaglia solo apparentemente
vinta. «Vedi, gli italiani non conoscono il mondo neanche su internet – racconta un ragazzo marocchino davanti ai palazzi di Zingonia – e questo paese senza di noi morirà». In un lento e tragico suicidio.

Fonte: il Manifesto

6 febbraio 2010

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