Sedi Rai all’estero, il futuro si decide tra un mese
Avvenire
Bocce ferme per un mese. Usigrai e Rai hanno firmato lunedì scorso una moratoria di trenta giorni sulla chiusura dei sette uffici di corrispondenza Rai a Beirut, Buenos Aires, Istanbul, Madrid, Mosca, Nairobi e New Delhi.
Ma le posizioni restano le stesse di prima, mentre gli spazi per modificarle appaiono sempre più stretti. Dopo che il Cda Rai approvò all’unanimità il piano che prevede di azzerarle e dopo che due giorni fa il direttore generale, Lorenza Lei, ha ribadito in Commissione di Vigilanza che quelle sedi chiuderanno i battenti.
Proprio la direzione Rai sostiene che i tagli – tutto compreso, non solo le sedi – permetteranno di risparmiare dieci milioni di euro. Ma i giornalisti ribattono che per esempio la sede di Nairobi costa solo 120mila euro l’anno e quella di New Delhi 150mila.
Così la mobilitazione non si ferma. E neppure i firmatari dell’appello Non chiudete quelle sedi! (cioè Tavola della pace, Articolo21, UsigRai, Federazione Nazionale della Stampa Italiana, Nigrizia, Misna, Missione Oggi, Premio Ilaria Alpi, LiberaInformazione, Mosaico di Pace e Rivista Confronti, con le prime adesioni): «Non possiamo accettare che la Rai decida di ridurre drasticamente gli uffici di corrispondenza e addirittura chiudere quelle sedi», piano «profondamente contrario agli interessi degli italiani», che vanno messi «nelle condizioni di affrontare da protagonisti le grandi sfide del nostro tempo».
Dunque – si legge infine nell’appello – «serve al contrario una maggiore apertura internazionale della Rai» e le sue sedi di corrispondenza «non sono uno spreco ma un investimento strategico per il nostro Paese. Non vanno chiuse, ma sostenute da nuovi spazi nei palinsesti quotidiani capaci di portare in primo piano la vita delle persone e dei popoli».
Una «vertenza di valori e non soltanto», la definisce l’Usigrai. Ma dalla Rai tagliano corto: « I soldi sono finiti. Gli sprechi, soprattutto, anche». Sebbene negli ambienti sindacali ricordino e annotino certi faraonici cachet a sei cifre pagati sull’unghia ad altrettanti ospiti di alcune trasmissioni considerate "strategiche" dall’azienda, come i 480mila a Gianni Rivera o i 300mila a serata (per un massimo di 750mila) ad Adriano Celentano.
Il direttore Lei l’altro giorno in Vigilanza è stata chiara: «Sarà rafforzato il presidio stabile di Bruxelles e mantenuta la stabile presenza di un corrispondente a Berlino, Cairo, Londra, Parigi, New York, Washington, Gerusalemme, Pechino», ma viene «conseguentemente disposta la chiusura» di quelle sette sedi. E ha dato anche una cifra emblematica: «Ad esempio per alcuni uffici di corrispondenza si rileva un rapporto di uno a dieci tra costi della produzione e costi di logistica». Morale? A mettere insieme tutti gli interventi (leggasi "tagli"), compreso ad esempio il secco ridimensionamento di Rai Corporation e dell’ufficio di New York, «sotto il profilo economico – parola sempre della Lei – ci sarà una riduzione dei costi valutabile nell’ordine dei dieci milioni di euro».
Proprio certe cifre però sembrano ballare e parecchio. Prendiamo l’ufficio di corrispondenza Rai di Nairobi: costa circa 120mila euro all’anno, cioè 10mila al mese. O l’ufficio di New Delhi, che ne costa 150mila sempre all’anno. Dalla tivù di Stato fanno (informalmente) sapere che solamente quei due uffici di corrispondenza costano così poco.
Secondo altre valutazioni però i conti non tornano: le sette sedi da chiudere faranno evitare di sborsare, a tenersi larghi, poco più di un milione di euro o magari anche due. In cambio però ci sarà da spendere per gli accordi con l’americana Associated Press (agenzia d’informazione americana presso le sedi della quale si appoggerebbero gli inviati Rai) e per i costi legati all’invio dei giornalisti a seguire gli avvenimenti: quanto sarà quindi alla fine l’effettivo risparmio?
«Stanno drammatizzando una situazione che drammatica non è, per poter mostrare la volontà di tagliare», sostengono alcuni cronisti Rai. E poi – sempre stando a queste voci – dal punto di vista della capacità di "coprire" le notizie, ma anche da quello della "rappresentanza", «tutta l’operazione quanto effettivamente può convenire?».
Non sembra questione risibile, visto che un altro appello – bipartisan – contro la chiusura di quelle sedi già lo firmarono due anni fa oltre sessanta deputati e senatori. E visto ciò che sulla vicenda annotò dalle colonne di Avvenire padre Giulio Albanese, missionario e giornalista: «La vera sfida, nel villaggio globale, sta nel coniugare una sfera di valori alti con un corretto rapporto costi-benefici»
Fonte: www.avvenire.it
2 Febbraio 2012