Scuole, donne e talebani


Giuliano Battiston


L’ultimo dossier di Afghanistan Analysts Network. Da tempo si parla di una possibile dichiarazione ufficiale del mullah Omar, e c’è chi scommette che nel 2012 finalmente verrà resa pubblica.


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Scuole, donne e talebani

Parallelamente al sanguinoso conflitto tra movimenti antigovernativi e truppe Isaf-Nato, in Afghanistan si combatte un’altra guerra, più silenziosa, ma altrettanto rilevante per il futuro del paese: la battaglia sui libri di scuola, sui curricula scolastici, sugli insegnanti a cui affidare l’educazione di bambini, ragazzi e ragazze. A spiegarne radici e possibili esiti futuri, è un nuovo rapporto del centro di ricerca Afghanistan Analysts Network: The Battle for the Schools. The Taleban and State Education, a cura degli analisti Antonio Giustozzi e Claudio Franco. Il rapporto, reso pubblico ieri, si basa su una serie di interviste in 10 delle 34 province afghane con interlocutori diversi – dagli insegnanti agli anziani di villaggio passando per i comandanti locali talebani – e ricorda la centralità delle controversie sull’educazione nei conflitti afghani, passati e presenti. Se già negli anni Cinquanta del secolo scorso e poi, in modo più evidente, alla fine degli anni Settanta, le riforme politicizzate e modernizzatrici del settore educativo avevano generato una forte opposizione tra i mullah e gli ambienti più conservatori delle aree rurali, oggi l’educazione continua a essere terreno di scontro, e di ricerca del consenso. Sin dall’occupazione del 2001, alcuni aspetti dei testi scolastici sono stati condannati dai religiosi, dando luogo a una serie di violenze contro le scuole statali, che i Talebani hanno cercato di cavalcare e, allo stesso tempo, controllare.

A partire dal 2006-7 però, il loro atteggiamento è cambiato: la forte espansione territoriale di quegli anni – suggeriscono Giustozzi e Franco – portava con sé la necessità di offrire un’immagine nuova, di un movimento capace di governare, non solo di combattere. E di governare tenendo conto delle opinioni delle comunità locali, perlopiù contrarie agli attacchi contro le scuole, compiuti da una minoranza oltranzista. Questi due fattori avrebbero portato a una prima fase di negoziazioni, avvenute al livello locale dal 2007, anche se con l’approvazione informale della leadership talebana da una parte e del ministero dell’Educazione dall’altra, e nonostante la riluttanza degli Stati Uniti. Da allora, le richieste talebane per consentire la riapertura delle scuole chiuse o per evitare nuovi attacchi non cambiano: adottare il curriculum dei “turbanti neri”, tornare ai vecchi libri scolastici degli anni Novanta, assumere gli insegnanti ritenuti idonei. Il tutto verificato da apposite commissioni.

Tra la fine del 2010 e l’inizio del 2011, quelli che erano patti locali sembrano essersi trasformati in un vero accordo politico di livello nazionale, come dimostrerebbero le dichiarazioni conciliatorie del ministro dell’Educazione Faruq Wardak e dello stesso mullah Omar, oltre al numero ridotto di attacchi contro le scuole. I Talebani sostengono di aver interrotto gli attacchi per rispondere alle richieste delle comunità locali e per dare tempo al ministero dell’Educazione di realizzare i cambiamenti previsti dall’accordo; il governo Karzai vede nel presunto accordo sull’educazione uno strumento per accreditarsi come interlocutore credibile in un eventuale negoziato politico di ampio respiro; gli autori del rapporto, Antonio Giustozzi e Claudio Franco, avanzano invece dei dubbi sulle intenzioni dei Talebani: vogliono un negoziato politico, oppure mirano soltanto ad espandere la propria base politica tra la popolazione? Si tratta di un semplice cambio di rotta opportunistico, di natura tattica, o di una nuova strategia? Il vero banco di prova, sarà la posizione dei Talebani sull’educazione delle ragazze. Da tempo si parla di una possibile dichiarazione ufficiale del mullah Omar, e c’è chi scommette che nel 2012 finalmente verrà resa pubblica.

Fonte: Lettera22, il Manifesto

15 dicembre 2011

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