San Suu Kiy: un processo cruciale per il futuro della Birmania


Oliviero Bergamini


Aung San Suu Kyi è ancora il peggior incubo del regime militare birmano. La nuova costituzione fatta approvare appositamente nel 2008 le vieta di candidarsi alle elezioni…


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San Suu Kiy: un processo cruciale per il futuro della Birmania

E' una donna esile, apparentemente fragile, profondamente provata dagli anni di reclusione passati in quasi assoluta solitudine nella vecchia magione coloniale che si sta lentamente disfacendo in riva al lago, nel calore tropicale di Rangoon. Eppure Aung San Suu Kyi è ancora il peggior incubo del regime militare birmano. La nuova costituzione fatta approvare appositamente nel 2008 le vieta di candidarsi alle elezioni che i generali hanno indetto per il prossimo anno per dare una patina di legittimità al loro potere.
Ma la sua sola presenza, il suo solo essere libera, magari poter tenere qualcuno dei suoi famosi discorsi, potrebbe catalizzare le energie dell'opposizione democratica birmana, tornare a galvanizzare un popolo che continua ad amarla profondamente; ed avere effetti devastanti per quel governo dittatoriale che con cinica inversione di senso si autodefinisce "Consiglio per la Pace e lo Sviluppo".
Per questo il processo che Aung San Suu Kyii sta subendo è cruciale per il futuro della Birmania. La sentenza appare già scritta. La "signora", come la chiamano con affetto e rispetto i birmani, rischia una nuova condanna, dopo che il 27 maggio doveva scadere l'ultima – ennesima – tranche dei suoi eterni arresti domiciliari. Ora l'accusa, come noto, è di aver accolto in casa John Yettaw, americano con problemi mentali che ha raggiunto la sua casa attraversando a nuoto il lago su cui si affaccia. Un lago che si trova nel mezzo di un parco nel pieno centro di Rangoon. Se la sorveglianza della polizia fosse stata adeguata, ha osservato la San Suu Kyii, quell'uomo non sarebbe mai potuto passare.
Ma non c'è alcun rispetto per la logica o per il diritto in Birmania. Per questo è cruciale che la mobilitazione internazionale che sta accompagnando questa vicenda grottesca e tragica non si fermi. Le proteste di moltissimi governi sembrano scuotere il muro di indifferenza normalmente eretto dal regime. Per la prima volta un vertice dell'Asem, organismo che riunisce l'Associazione dei paesi del Sud Est Asiatico e l'Europa, si è concluso con una chiara, netta richiesta di liberare la San Suu Kyii e i più di duemila prigionieri politici che languono nelle carceri birmane. Le complicità di paesi che hanno interessi economici in Birmania sembrano dunque incrinarsi. Su Internet sta crescendo impetuosamente una campagna "online" con migliaia di messaggi, tra cui anche quelli di Salman Rushdie e del premier britannico Gordon Brown. Il sito si chiama http://64forsuu.com, e mira a raccogliere il maggior numero possibile di messaggi entro il 19 giugno, data in cui "la signora" compirà 64 anni.
Forse non si riuscirà ad evitare un verdetto di colpevolezza, ma se il mondo continuerà a tenere accesi i riflettori sul simbolo vivente della lotta per la democrazia in Birmania, la condanna potrebbe essere più lieve, e il regime potrebbe finalmente decidersi a muovere qualche primo reale passo verso il dialogo.
C'era amarezza e consapevolezza, nelle parole che la San Suu Kyii ha rivolto ad alcuni diplomatici stranieri che ha potuto brevemente incontrare la scorsa settimana a margine di una udienza, ma c'era anche una traccia di speranza e della sua elegante ironia: "Mi auguro di potervi rivedere in tempi migliori", ha detto con un sorriso.

Fonte: Articolo21

29 maggio 2009

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