Salvataggi in mare, la conferenza stampa delle ong


La redazione


L’appuntamento convocato d’urgenza, dopo l’esclusione della Sea Watch dalle audizioni sul decreto sicurezza bis, disertate da tutte le sigle del Tavolo asilo


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CSONG

«Carola sta bene, ha passato i giorni in isolamento, non si rende conto ancora della risonanza mediatica della vicenda. L’unica domanda che continua a fare è: “Le persone a bordo sono state fatte scendere?” Un giudice ragionevole ha capito che la comandante non poteva far altro che quello che è stato fatto». Ha parlato anzitutto del capitano Rackete, la portavoce di Sea Watch Giorgia Linardi: ha raccontato della comandante arrestata il 29 giugno per aver violato il divieto d’ingresso nelle acque italiane entrando di forza con la Sea-Watch 3 nel porto di Lampedusa dopo 17 giorni in mare con una sessantina di migranti salvati davanti alla Libia e poi scarcerata dal giudice per le indagini preliminari di Agrigento martedì 2 luglio. L’occasione: la conferenza stampa convocata d’urgenza nel pomeriggio di ieri, 3 luglio, nella sala stampa estera, dopo l’esclusione della ong dalle audizioni sul decreto sicurezza bis, che dovevano tenersi in mattinata. La revoca dell’invito è arrivata su richiesta di alcuni parlamentari della Lega. Per solidarietà, anche tutte le sigle del Tavolo asilo hanno deciso di disertare le audizioni.
«Se dovessimo trovarci in una situazione in cui siamo l’unica imbarcazione che può svolgere il salvataggio agiremo come prevede la normativa e la legge del mare, che obbligano a comportarsi in un certo modo, come ha fatto la Sea-Watch. Così abbiamo fatto e così faremo», ha ribadito Alessandro Metz, di Mediterranea Saving Humans, tra i promotori della conferenza insieme a Sea Watch, Open Arms, Antigone, Tavolo nazionale Asilo e Medici senza frontiere. «Il governo non può appropriarsi degli spazi pubblici del Parlamento e ascoltare solo quelli conformi alle opinioni della maggioranza – le parole di Filippo Miraglia di Arci -. Abbiamo già contestato sia il decreto sicurezza bis che il primo decreto sicurezza, perché siamo convinti che negli ultimi anni ci si sia concentrati sulla riduzione dei diritti dei rifugiati. È un decreto che non ha i presupposti di straordinarietà ed emergenza: siamo nel periodo in cui Italia ed Europa accolgono meno persone in assoluto». Per Miraglia si tratta solo di «propaganda per criminalizzare il salvataggio in mare. Il metodo usato è quello che usavano i nazisti con gli ebrei, non solo perseguitando loro ma anche chi cercava di salvarli».

Marco Bertotto di Medici senza frontiere (Msf) ha ricordato che dopo un anno dal caso Aquarius, costretta ad andare a sbarcare a Valencia, «ci sono stati 19 incidenti e stalli in mare che hanno coinvolto  più di 2.496 persone, uomini donne e bambini vulnerabili, trattenuti in mare per 165 giorni totali, ovvero 4 mesi che hanno provocato solo inutile sofferenza senza che nessun concreto risultato fosse raggiunto.  I dati – ha continuato – dicono che con le ong in mare si registra 1 partenza a fronte di 6; le altre 5 avvengono quando il mare è sprovvisto di assetti. Questa è la pietra tombale sulla narrazione dei porti chiusi mentre continua ad ad aumentare  il tasso di mortalità nel Mediterraneo». Anche per Bertotto, «il decreto infligge ulteriori inutili sofferenze a persone già provate», con l’«obiettivo palese di impedire l’attività di ricerca e soccorso in mare». Msf in particolare è preoccupata per l’articolo 12 che prevede premi per i Paesi che rimpatriano i migranti: «Si rischia di finanziare dittature che daranno luogo a nuove fughe – ha sottolineato ancora Bertotto -. Si creerà un mercato dei rimpatri in cui la controparte potrà chiedere più soldi».
Come si evince dall’ordinanza di scarcerazione di Carola Rackete, ha evidenziato Linardi, il decreto sicurezza «non ha nulla a che vedere con un comandante che ha un caso sar con persone a bordo in una situazione di emergenza. Il comandante è stato ignorato da tutte le autorità: è questa la violazione.

Una nave con 42 naufraghi oggi è considerata la più grande emergenza nazionale, questo rende ridicolo un Paese. L’ordinanza del gip restituisce la gerachia delle norme. La decisione di Carola Rackete è supportata dall’articolo 18 della convenzione del mare». Per 17 giorni, ha riferito la portavoce della ong, «Sea Watch ha tentato tutto il possibile per un ingresso regolare e autorizzato in Italia. Ma non c’era nessuna alternativa a Lampedusa perché l’ unica altra indicazione era quella di dirigersi verso un Paese in guerra, la Libia». La comandante Rackete, «come suo dovere e non avendo ricevuto aiuto dalle autorità che hanno ignorato le sue richieste – ha spiegato Linardi -, ha fatto rotta verso il porto più vicino. A Lampedusa è stata ignorata per 36 ore finché ha deciso che i naufraghi e l’equipaggio non avrebbero potuto sostenere un’altra notte in mare. Il medico a bordo aveva allertato sul rischio di gesti disperati di autolesionismo. Carola ha deciso di assumersi la responsabilità di entrare in porto perché non voleva assumersi la responsabilità dei rischi per le vite umane». Dopo la liberazione Sea-Watch ha attuato «un piano di evacuazione per proteggere Carola dalla stampa e darle il tempo di isolarsi e capire. È ancora in Italia».

4 luglio 2019

RomaSette

 

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