«Rovine e massacro», lettera da Aleppo
il Manifesto
La testimonianza di un cittadino della seconda città siriana fatta arrivare al quotidiano Il Manifesto. Atto di accusa al regime ma anche ai ribelli.
di AHMAD AL SURI*
Quelli che sono venuti in armi a combattere il regime hanno rubato la rivoluzione al popolo siriano
Vi racconto la vita ad Aleppo, sotto il fuoco delle forze governative e di quelle ribelli. L’energia elettrica è rara e quando c’è, la fornitura è pessima (nella maggior parte dei posti non arriva che per un’ora al giorno), così la maggior parte delle apparecchi elettrici non funzionano, come i frigoriferi. Praticamente non c’è pane e quello che si trova costa tantissimo. Il prezzo di un pacco di pane era di 15 lire, oggi va dalle 200 alle 500 lire. C’è un gran numero di famiglie molto povere che vivono solo di pane, visto che non possono permettersi nient’altro di più costoso. Ad oggi le razioni alimentari sono ancora reperibili ma anche queste a prezzi esorbitanti. L’olio combustibile è finito del tutto. Quando c’è n’era ancora il prezzo poteva arrivare anche a 200 lire mentre il prezzo normale sarebbe di 35 lire; di benzina se ne trova ancora ma si paga 200 al litro a fronte delle 55 lire del prezzo regolare. Il gas costa 4000 lire a bombola invece di 350. La gente che vive per strada usa della legna che si procura nei giardini e nei viali principali per scaldarsi, presto ad Aleppo non ci saranno nemmeno più alberi. La maggioranza dei quartieri popolari sono stati distrutti e trasformati in vere e proprie rovine, praticamente tutta la popolazione si è radunata in città, in alcuni quartieri dove non agisce l’Esercito libero siriano (Els, la milizia ribelle che combatte contro il presidente siriano Bashar Assad, ndt) e che di conseguenza non sono sottoposti ai bombardamenti del regime; la loro situazione è tragica, molti non hanno trovato una casa o una cantina dove ripararsi e quindi sono obbligati a dormire in strada. I ricchi e buona parte della classe media sono fuggiti dal paese ma alcune famiglie hanno finito i soldi e sono state costrette a tornare ad Aleppo, nonostante il pericolo di morte. Più del 95% delle fabbriche sono state distrutte o costrette a chiudere a causa della mancanza di elettricità e di sicurezza. Tutti i commercianti hanno preso le loro cose e se sono andati dal paese. Le strade che conducono ad Aleppo sono quasi tutte sotto il controllo dell’Els, specialmente quelle a nord della città, in direzione della Turchia. I bombardamenti continuano violentemente su tutte le zone occupate dall’Els e talvolta colpiscono anche quartieri in cui non c’è traccia dei ribelli! Dal mio punto di vista sia il regime che l’Els sono responsabili dell’assedio, della fame e della fuga in massa della popolazione di Aleppo. L’Els ha vari obiettivi in questo assedio: tagliare tutti i rifornimenti che arrivano all’esercito regolare dalla capitale e, di conseguenza, indebolirne la presenza militare terrestre, fare pressione sulla divisione militare di stanza ad Aleppo per ottenerne la resa e confiscare armi e munizioni con facilità. Colpire la forza economica di Aleppo con la distruzione indiretta di tutte le fabbriche, le zone commerciali, le istituzioni governative e dei servizi (come le centrali elettriche): per questo motivo l’Els viene dislocato nei distretti industriali e commerciali, sanno bene che il regime bombarderà certamente quelle zone colpendo di conseguenza tutte le infrastrutture della città! Confiscare i depositi statali ad Aleppo e periferia, ad esempio le riserve di grano per poi distribuirle nelle zone «liberate». In fine, dare una lezione agli aleppini, che l’esercito libero considera sostenitori del regime, insegnare loro che Assad non avrà pietà di nessuno, nemmeno dei suoi sostenitori, ucciderà, bombarderà e distruggerà tutto senza tenere conto di chi lo ha appoggiato. Ovviamente anche il regime ha i suoi obiettivi e spero che queste siano le ultime soluzioni che ha in serbo per Aleppo, temiamo tutti la fase successiva, speriamo non ci si arrivi mai. Il regime segue la stessa strategia degli anni Ottanta: far sì che la gente non pensi a quello che le succede intorno, che non rifletta sugli eventi ma che piuttosto sia spinta a preoccuparsi di assicurarsi il pane, l’acqua e l’elettricità. Anche il regime vuole dare una lezione agli abitanti della città, punirli per aver dato riparo all’esercito libero, spingerli a cacciare i combattenti ribelli perché fintanto che questi si troveranno in città, i bombardamenti non smetteranno. Per quanto mi riguarda entrambe le parti sono responsabili dei crimini che vengono commessi ad Aleppo, con diversi gradi di colpevolezza a seconda del crimine. I delitti del regime e del suo esercito sono noti, tutti i media ne parlano ma c’è paura anche per quelli dell’Els, ad oggi appoggiato da gran parte della comunità internazionale: molti dei quadri dirigenti, per lo meno ad Aleppo, erano dei criminali, qualcuno addirittura faceva parte degli shabiha del regime. Inoltre non è chiaro come intendano comportarsi con i cristiani e gli armeni della città visto che li hanno sempre trattati come lealisti del regime, potrebbero voler vendicarsi di loro (ovvero c’è la minaccia vera e propria di una guerra settaria contro di loro). La maggioranza dei combattenti dell’Els non è di Aleppo, addirittura molti non sono siriani… La rivoluzione è stata rubata ai siriani, non c’è più traccia della rivoluzione, il suo vero obiettivo, la libertà, è stato oscurato, quelli che sono venuti a combattere il regime, non sanno nemmeno che cosa sia la libertà, la logica con la quale vi scrivo, è inaccettabile per loro, potrebbero considerarmi peggio di un agente dei servizi segreti del regime; siamo arrivati al punto che oggi ad Aleppo, nessuno osa parlare dell’Els poiché sicuramente verrebbe ucciso o rapito e derubato di tutti i suoi averi.
*Pseudonimo di un attivista aleppin o che ha lasciato la Siria nei giorni scorsi. Ha inviato al «manifesto» questo documento con la preghiera di non rivelare la sua identità, per non mettere in pericolo la sua famiglia rimasta ad Aleppo.
Fonte: http://nena-news.globalist.it
5 gennaio 2013