Roma, rogo in campo rom: carbonizzati 4 fratelli


Salvatore Maria Righi


Si chiamavano Sebastian, 11 anni, Patrizia, 8, Fernando, 7 e Raul, il più piccolo di 3 anni. Avevano meno di trent’anni in quattro, sono bruciati vivi dentro una delle baracche tirate su alla meglio nel pezzo di campagna che fiancheggia l’Appia Nuova.


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Roma, rogo in campo rom: carbonizzati 4 fratelli

Morti carbonizzati di fronte ai campi di golf dove si cimentano manager e banchieri, a fianco di una concessionaria in cui auto di lusso aspettano danarosi acquirenti. Alle spalle il parco dell'Appia, vestigia di un glorioso passato che in questa gelida notte, in questa città  e in questo paese, pare verosimile come il Signore degli anelli.

Invece la strage dei bambini è¨ accaduta proprio qui, all'ora di cena di una domenica di febbraio, e quattro ore dopo c'è ancora un odore di bruciato che dalle narici ti passa direttamente nell'anima. Avevano meno di trent'anni in quattro, sono bruciati vivi dentro una delle baracche tirate su alla meglio nel pezzo di campagna che fiancheggia l'Appia Nuova: col piccolo arso alla Magliana, nel 2011 sono già  cinque i bambini nomadi morti a Roma in circostanze accidentali, come sintetizzano i verbali.

Si chiamavano Sebastian, 11 anni, Patrizia, 8, Fernando, 7 e Raul, il più piccolo di 3 anni. Il nipote di Calim Mircea Vasile e Elena Moldovan, un figlio rimasto in Romania. L'altra figlia, Bianca, la più grande, ha 18 anni ed è rimasta impietrita, quando ha visto le alte fiamme divorarsi la baracca dove aveva lasciato i fratellini e il cugino per andare a prendere l'acqua.
Un tizzone scivolato dal fuoco, un braciere rudimentale, una scintilla scaturita chissà  come, la dinamica della più grande tragedia rom successa in Italia non è ancora chiara. Di certo, il fuoco ha inghiottito in un amen quelle pareti di cartone e plastica, divorando la vita di quattro bambini che i genitori avevano lasciato a giocare per prendere la cena, qualcosa di caldo in un fast food nelle vicinanze. Non ci sono stati scoppi, solo le urla strozzate di chi è rimasto e guarda, con una coperta blu sulle spalle, le ceneri di quella che era una famiglia e adesso è un gruppo di zombie che vagano choccati tra poliziotti, carabinieri e vigili del fuoco.
Si sente il pianto di un neonato in lontananza, oltre il cancello verde che nasconde l'accampamento della morte. Il luogo del disastro è illuminato da una enorme fotoelettrica accesa dai soccorritori, ci sono anche gli uomini della polizia scientifica e c'è un via vai di autorità  in cui il sindaco Alemanno scivola intirizzito e con gli occhi fissi nel vuoto.

Il primo cittadino tuona contro la burocrazia che con le sue insulse lungaggini impedisce al comune di risolvere la questione dei campi nomadi abusivi e chiede "poteri speciali" al governo per risolvere la questione una volta per tutte, perché non si può morire così, "come in un forno crematorio", e dopo averlo detto fa una pausa, perché a volte nemmeno le migliori intenzioni possono evitare scivolate, poi va via tra qualche telecamera accesa.
Il delegato del comune, Giorgio Ciardi, sottolinea che solo il 10% dei nomadi accetta le strutture di accoglienza e i servizi sociali, "perché chi fa una scelta di vita alternativa mal sopporta le regole e l'inquadramento", ma quel che resta del nucleo familiare accampato su questo pezzo dell'Appia sarà  portato via subito, "gli spiegheremo che qui non possono più rimanere". "I nomadi della Romania subiscono ancora l'idea che nel vostro paese, in Italia, si vive come i nababbi e c'è oro per tutti" dice un delegato del comune, come gli albanesi nello stadio di Bari, come se non fossero passati vent'anni, e invece evidentemente nel '90 era solo l'inizio.

Qualcosa di grosso è successo davvero, se conti le macchine della polizia, quelle dei vigili e i lampeggianti, ma poi senti un vigile urbano che ha appena finito di fare i rilievi con i colleghi della questura, "e 'a Roma ha perso", e allora diventa tutto più difficile, da capire e anche da spiegare. Una ventina di persone distribuiti in tre baracche, 8 minorenni, la metà falciati dal fuoco che si è sprigionato all'ora di cena, pensare che li avevano sgombrati un anno fa dal parco della Caffarella, a due passi da qui.

E poco lontano hanno vuotato un altro accampamento di fortuna, in questa zona del nono municipio che di giorno, nelle mattinate di sole, è una passeggiata tra il verde dei prati e il fiero affiorare dei resti romani sparsi come tesori.
 
Ora li porteranno via, porteranno via anche gli altri che sono sistemati poco lontano, vuoteranno quei rifugi di fantasmi metropolitani che adesso fumano e raccontano una scena agghiacciante. "Adesso che sono morti dei bambini venite qui, ma prima non c'era nessuno per noi", sibila un parente di Calim ed Elena, con la coperta sulle spalle e nemmeno una lacrima sul viso, perché in una notte così, di fronte ad un dolore così grande, non si sa nemmeno come piangere. E allora "adesso lasciatemi in pace per favore, noapte buna", buona notte, e lui torna dentro al buio dove noi siamo da precipitati da un bel po'.

Fonte: www.unita.it

7 febbraio 2011

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