Nuovo rogo nella tendopoli di San ferdinando, muore un giovane


la Repubblica


Distrutte decine di baracche, ha perso la vita il senegalese Moussa Ba, 29 anni. Terza vittima in un anno. Salvini: “Il campo sarà svuotato. Tragedie causate dall’illegalità”


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sanferdinando

Si muore ancora di freddo e di fuoco nella tendopoli di San Ferdinando, il ghetto che da anni ospita i braccianti migranti della Piana di Gioia Tauro. Ieri sera, attorno alla mezzanotte, un nuovo incendio è costato la vita al 29enne sengalese Moussa Ba e non Aldo Diallo come era stato detto in precedenza.

Le fiamme si sono sviluppate nella parte iniziale del campo, quella più vicina alla strada e in pochi minuti hanno divorato una trentina di baracche. Un disastro annunciato per il ministro dell’Interno Salvini, che stamattina ha annunciato: “Sgombereremo la baraccopoli di San Ferdinando. L’avevamo promesso e lo faremo, illegalità e degrado provocano tragedie come quella di poche ore fa. Per gli extracomunitari di San Ferdinando con protezione internazionale, avevamo messo a disposizione 133 posti nei progetti Sprar. Hanno aderito solo in otto (otto!), tutti del Mali. E anche gli altri immigrati, che pure potevano accedere ai Cara o ai Cas, hanno preferito rimanere nella baraccopoli. Basta abusi e illegalità”. Per 40 lo spostamento sarebbe previsto già nelle prossime ore, afferma il Viminale.

Gli occupanti delle baracche, la scorsa notte, dopo le prime fiamme sono fuggiti, hanno iniziato a correre con secchi e altri recipienti di fortuna verso le poche fontane per tentare di domare l’incendio in attesa dell’intervento dei Vigili dei fuoco. Ma subito ci si è resi conto che Moussa Ba non c’era, dalla sua roulotte non era mai uscito. Inizialmente, il bilancio era apparso ancora più serio. Oltre a lui, all’appello mancavano altre due persone e si temeva che i morti da piangere fossero tre. Poi i dispersi sono stati ritrovati, ma quando le fiamme sono state domate la morte di Moussa è stata confermata. Il suo corpo è stato ritrovato all’interno della baracca in cui abitava.

Una tragedia annunciata dal copione sempre uguale a se stesso. Non esistono servizi, né luce, né acqua alla tendopoli. Per scaldarsi, si può far ricorso solo a piccoli falò o vecchi bracieri, che fra le centinaia di baracche messe in piedi con brandelli di vecchie tende, pannelli di plastica o legno e materiali di scarto sono come bombe ad orologeria.

La Prefettura ha convocato un vertice al Comune di San Ferdinando. All’alba, il prefetto Michele di Bari e le forze di polizia hanno fatto un punto della situazione. Ed è arrivata la decisione confermata da Salvini: via al piano per trasferire, a breve, i migranti che vivono nella baraccopoli di San Ferdinando. In parallelo con l’attuazione di forme di accoglienza diffusa per le quali la Regione ha manifestato disponibilità a contribuire con strumenti che incentivino le locazioni.

Da tempo ormai si parla di “superamento della baraccopoli”, ma al momento agli annunci non sono mai seguite azioni concrete. Una nuova tendopoli è stata allestita ormai anni fa come “soluzione temporanea” a pochi passi dal vecchio ghetto, ma fin da subito si è dimostrata troppo piccola e troppo precaria. A dicembre, le Regione si è impegnata a supportare con un fondo di garanzia l’integrazione abitativa dei migranti nei tanti alloggi sfitti di San Ferdinando e dei Comuni limitrofi, così come nei tanti beni confiscati nella zona.

Per agevolare il processo è nato anche un comitato spontaneo che mette insieme braccianti, rappresentanti sindacali, urbanisti e pianificatori territoriali, attivisti, mentre la prefettura ha avviato un censimento per individuare con esattezza il numero dei braccianti senza casa. Ma anche a causa delle resistenze delle amministrazioni comunali interessate, il processo prosegue a rilento. E di ghetto si continua a morire.

“Non è tollerabile una situazione di questo genere, bisogna trovare delle soluzioni subito, ne va della possibilità di affermare che l’Italia sia un Paese civile” dice Giuseppe Borgese della Flai-Cgil, fra i primi ad arrivare questa notte in tendopoli. Al termine della riunione, la prefettura ha diramato un comunicato in cui si afferma che “è stato approntato un piano per trasferire, nel breve periodo e previe le necessarie verifiche di legge, i migranti”. Dove e quando, non è dato sapere.

Il dossier della morte si compone di altre tragedie. A gennaio 2018, un’altra ragazza, Becky Moses, è morta bruciata nella baracca in cui dormiva. Pochi mesi dopo è toccato a Soumayla Sacko, ammazzato a colpi di fucile mentre stava tentando di recuperare del materiale per costruire un riparo. Due anni prima a perdere la vita era stato Sekinè Traorè, 26enne maliano ucciso dal colpo di pistola sparato da un carabiniere.

Tutte le volte i migranti sostenuti dai sindacati sono scesi in piazza. “Non siamo bestie, qui si muore o di fuoco o di freddo”, hanno ripetuto. Ma la baraccopoli di San Ferdinando è sempre lì con il suo carico di rabbia e disperazione. E nel campo, oggi, c’è chi è pronto a dare vita a un corteo di protesta fino a San Ferdinando a cui forse parteciperà anche Mimmo Lucano, il sindaco sospeso di Riace.

Che osserva: “Questa nuova tragedia mi fa molto soffrire, perchè questi ragazzi sono qui per trovare lavoro e invece trovano la morte. Noi avevamo cercato in tutti i modi di spiegare che si devono trovare soluzioni superando la baraccopoli e puntando sulle tantissime case abbandonate nella Piana di Gioia Tauro, invece in alcune riunioni ho sempre avuto la sensazione che non si volesse creare un contatto con le comunità e si volesse invece continuare a ghettizzare. Il presidente della Regione Oliverio aveva dato la massima disponibilità per un fondo di garanzia e un contributo per il recupero delle case abbandonate nei centri storici nei paesi vicini a San Ferdinando nella logica dell’accoglienza diffusa: questa è una soluzione umana. Salvini si accorge della situazione quando muoiono le
persone, ma – conclude Lucano – non ha umanità”.

“Diventa urgente e indispensabile che il Governo assuma con determinazione un progetto di smantellamento della tendopoli e di trasferimento degli immigrati in luoghi più idonei e sicuri, nell’ambito dei programmi di integrazione sociale”, afferma il presidente della Regione Calabria, Mario Oliverio.

“Non è più tempo di interventi rabberciati. Pur essendo la problematica dell’immigrazione di competenza dello Stato, la Regione Calabria non si è mai tirata indietro, ma ha investito uomini e risorse per rendere più igieniche e umane le condizioni di vita dei migranti, anche attraverso la realizzazione di una nuova tendopoli. E, tuttavia, questo non è servito al necessario processo di smantellamento, sia pure graduale, dell’inumana aggregazione di migranti all’interno dell’area industriale della Piana di Gioia Tauro”. Da parte sua la Cgil ribatte: “Il problema non si risolve con la solita ricetta persecutoria annunciata ancora una volta dal ministro dell’interno: sgomberare il campo senza preoccuparsi di dove saranno collocati i suoi occupanti”.

16 febbraio 2019

la Repubblica

 

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