Rai: sui comportamenti, necessaria una visione unitaria


Roberto Natale, Giunta Federazione Nazionale Stampa Italiana


“Il futuro della Rai è nelle mani di quelli che nella Rai vivono e lavorano". E’ quanto afferma Roberto Natale circa la necessaria, quanto urgente, riforma della Rai, un percorso di cambiamento che può partire solo dall’interno.


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Rai: sui comportamenti, necessaria una visione unitaria

“Il futuro della Rai è nelle mani di quelli che nella Rai vivono e lavorano. Altre attribuzioni salvifiche, oltre a essere improprie, sono sempre meno comprensibili e renderanno solo più difficoltoso il percorso di cambiamento che si rende necessario… Capiamo come sia difficile modificare mentalità radicate, ma il ricorso a tutele esterne anche solo per difendere situazioni di normale vita aziendale mette in risalto un solo fatto: che non si crede al proprio valore o, peggio, che si vuol mettere sul piatto valori spuri, aziendalmente controproducenti e diseducativi. La competenza non ha colore ne' appartenenza.” E’ l’ottobre del 1999. Alla guida della Rai ci sono Roberto Zaccaria come Presidente e Pierluigi Celli come Direttore Generale. I due decidono di scrivere una lettera a tutti i dipendenti, che dice in sostanza “basta con le raccomandazioni” e che all’epoca fa molto discutere. Quel testo torna alla mente oggi, leggendo la difesa che dalle pagine del “Foglio” Celli – ora Direttore della Luiss – fa di Agostino Saccà all’indomani del voto con cui il CdA ha respinto la proposta di licenziamento avanzata da Cappon: “francamente, io preferisco trattare – anche per quanto riguarda il lavoro – con un mariuolo intelligente piuttosto che con un ignavo incompetente…sulla valutazione di un professionista possono e devono incidere solo i risultati personali”. Non necessariamente Celli deve aver cambiato idea rispetto al rapporto fra servizio pubblico e politica. Più probabilmente, vale per lui una sorta di doppia etica aziendale: una per i peones, le fasce basse, i dipendenti qualsiasi, chiamati ad astenersi virtuosamente da ogni contatto; l’altra per la grande dirigenza, nel cui curriculum i rapporti con la politica, anche ai fini di sostegno dei singoli percorsi di carriera, non solo non stonano ma costituiscono punteggio aggiuntivo. Del resto, di questo doppio livello etico chi era in Rai aveva avuto una prova tangibile già in quelle stesse settimane del ’99. Pochi giorni dopo la lettera che chiedeva astinenza ai dipendenti, era uscita su “Prima Comunicazione” una significativa intervista a Pietro Calabrese, che raccontava come fosse avvenuto il suo arrivo in Rai (all’epoca come capo della Divisione Due: nella riorganizzazione guidata da Celli, la parte dell’azienda che raggruppava i settori di più marcato servizio pubblico). L’ex Direttore del “Messaggero” dichiarava che il suo ingresso era stato preparato con una fitta rete di contatti politici, di Celli e suoi, al massimo livello: D’Alema (allora Presidente del Consiglio), Fini, Letta, Berlusconi. Tanti dipendenti Rai pensavano ieri e continuano a pensare oggi che il doppio metodo non possa reggere; che non possa esserci un’etica aziendale diversa a seconda della qualifica e della busta paga; che se i contatti politici sono leciti per la carriera di un top manager, si sentirà legittimato a praticarli anche l’ultimo dei redattori dell’ultima redazione, interessato a diventare caposervizio. Per questo, meritano apprezzamento le parole usate dal Direttore Generale Cappon nella sua relazione al CdA: “oggi dovete decidere anche, nei confronti di tutti i nostri collaboratori, cosa consideriamo ‘lecito’, ‘corretto’ e ‘normale’, perché quello che decideremo sarà misura e riferimento per i comportamenti futuri di tutti”. La maggioranza ha deciso altrimenti. Ma non c’è altro futuro possibile al di fuori di questa visione unitaria dei comportamenti dei suoi dipendenti, se il servizio pubblico non vuole ridursi ancora di più ad una confederazione di fazioni.

Fonte: Articolo21

22 luglio 2008 

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