Quattro dubbi sull’attacco militare alla Siria
Internazionale
Questi attacchi portano avanti la tradizione occidentale di guerra senza fine nella regione araba e infatti i risultati non variano: distruzione delle società mediorientali e nascita di forze e governi radicali che sfidano l’aggressore straniero. Cosa fare?
L’attacco missilistico anglo-franco-americano lanciato in Siria per punire il governo e dissuaderlo dall’uso di armi chimiche dovrebbe fermare per un breve periodo questo barbaro strumento di guerra, come già successo in passato. Tuttavia, nel contesto del tradizionale e prolungato militarismo americano ed europeo in Medio Oriente, l’operazione genera sensazioni contrastanti perché restano forti dubbi in merito alla sua efficacia, legittimità, credibilità e comprensione del contesto siriano.
L’operazione sembra essere un’azione politica che non tiene conto delle dinamiche locali e regionali, concepita unicamente per dire all’opinione pubblica occidentale che le tre potenze coinvolte rispettano la vita umana e il diritto internazionale più dei governi in Siria e in Russia. Una tesi abbastanza discutibile se consideriamo il numero di vittime provocato da Stati Uniti, Francia e Regno Unito nella regione per decenni. Probabilmente le conseguenze dell’operazione non fermeranno il caos e le nuove forme di violenza che affliggono la regione, come succede ogni volta con questo tipo di azioni militari esterne.
Un problema di efficacia
I bombardamenti lanciati tra il 14 e il 15 aprile non sembrano particolarmente efficaci. Vent’anni di attacchi continui degli Stati Uniti e di altre potenze contro i gruppi terroristici e i governi radicali, a cominciare dai missili lanciati nel 1998 contro Al Qaeda in Sudan e Afghanistan, non hanno fermato Al Qaeda o altri gruppi simili, che al contrario stanno prosperando e che si affermano solo in zone devastate da attacchi militari stranieri o interni, come la Somalia, lo Yemen, l’Iraq, l’Afghanistan e la Siria.
Il numero di governi e forze radicali che si oppongono agli Stati Uniti e ad altre potenze straniere è aumentato costantemente negli ultimi anni. Non c’è da stupirsi se di recente l’influenza di Iran, Russia, Hezbollah e Turchia in Siria e in altri territori arabi sia aumentata, soprattutto grazie alle conseguenze del militarismo continuo degli Stati Uniti e di altre potenze straniere e arabe, un militarismo il cui scopo era proprio quelli di “ridurre” questa influenza. L’ambasciatrice statunitense all’Onu Nikki Haley e i suoi amici saranno anche “pronti e carichi”, come lei ha dichiarato, ma resta il fatto che dal 1998 gli americani si sono sparati più volte sui piedi con le loro operazioni militari in Medio Oriente lanciate per sconfiggere il terrorismo e ridurre l’influenza dell’Iran. In definitiva Washington ha rafforzato quelli che voleva indebolire.
Un problema di legittimità
Gli attacchi non sembrano nemmeno legittimi, perché le Nazioni Unite e altre istituzioni autorizzate a verificare le responsabilità dell’attacco chimico non hanno svolto il loro lavoro sul campo – che sarebbe dovuto cominciare il 15 aprile – prima di stabilire qualsiasi misura punitiva. Le tre potenze responsabili dell’attacco non possono sostenere di aver agito per legittima difesa, perché non erano sotto la minaccia di un attacco imminente e non sono state attaccate, diversamente da quanto accaduto con l’11 settembre. Le potenze occidentali che sostengono di rispettare il diritto internazionale e nel frattempo lo infrangono o lo ignorano hanno chiaramente un problema di legittimità.
Un problema di credibilità
Inoltre gli attacchi non sono particolarmente credibili. Le preoccupazioni dell’occidente per i morti causati dalle armi chimiche perdono peso, per due motivi. Il governo siriano e le forze di opposizione hanno ucciso centinaia di migliaia di civili, spesso con metodi disumani come i barili bomba o gli assedi che miravano ad affamare il nemico, e questo non sembra aver prodotto grandi azioni da parte delle potenze che hanno attaccato, anche se le conseguenze sono state ben peggiori. Il loro sdegno morale davanti alla morte di civili innocenti è inoltre messo in discussione dal fatto che Stati Uniti, Regno Unito e Francia sono direttamente responsabili per la morte di centinaia di migliaia di civili in Medio Oriente nel corso di decenni di interventi militari e azioni politiche dirette, inclusi quelli attuali in Yemen.
Ironia della sorte, il Regno Unito è la potenza che ha introdotto l’uso di armi chimiche nella regione durante la prima guerra mondiale, armi che i britannici avrebbero voluto usare per reprimere una rivolta anticoloniale in Iraq (anche se alla fine non lo hanno fatto). L’impegno degli occidentali per evitare la morte di altri innocenti in modo crudele sarebbe più credibile se, per esempio, gli Stati Uniti e il Regno Unito smettessero di assistere l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti nella loro guerra contro lo Yemen, dove decine di migliaia di persone sono malate di colera e migliaia sono morte per malattia, malnutrizione e altre conseguenze delle guerra.
Tutte le morti causate dalla guerra sono ripugnanti e vanno fermate con azioni collettive da parte di tutti i paesi che rispettano la vita umana. Non si può procedere con le azioni sparse di un pugno di governi che sembrano parecchio selettivi nel loro sdegno per le sofferenze umane, ma alquanto episodici nel loro rispetto del diritto internazionale.
Un problema di contesto
Gli attacchi, infine, non hanno tenuto conto del contesto generale della guerra in Siria e dei suoi diversi collegamenti regionali e globali. Nello specifico, i risultati a breve termine di operazioni militari come questa – o come l’attacco angloamericano in Iraq del 2003 o anche la recente guerra contro il gruppo Stato islamico – tendono a svanire per mancanza di una politica più ampia che affronti e cerchi di risolvere i problemi che hanno generato la guerra. È necessario un approccio più comprensivo e realistico per fermare i combattimenti, stabilizzare la Siria e gestire altre tensioni che in questo momento circondano il paese, a cominciare dagli interessi curdi, iraniani, israeliani, turchi e russi.
Questi attacchi portano avanti la tradizione occidentale di guerra senza fine nella regione araba cominciata da Napoleone più di due secoli fa, un’attività che oggi sembra solo intensificarsi con l’utilizzo di droni, missili Cruise, strumenti di guerra elettronici e combattenti a contratto. Anche i risultati non variano: resistenza da parte delle potenze locali, distruzione delle società mediorientali e nascita di forze e governi radicali che sfidano l’aggressore straniero. Questa dinamica è tanto più pericolosa oggi se teniamo conto dell’intervento militare diretto in Siria di potenze non occidentali e regionali come l’Iran, la Russia, la Turchia, Israele e Hezbollah.
Solo una soluzione politica, sociale ed economica al deterioramento delle condizioni di vita negli stati arabi metterà fine alla violenza, liberandoci dai nostri dittatori e vietando l’uso di armi di distruzione di massa. Solo così troveremo la pace, diritti uguali per tutti e prosperità per il martoriato popolo di questa regione.
Rami Khouri, giornalista libanese
17 aprile 2018 15.45
(Traduzione di Andrea Sparacino)
Internazionale