Quando il Governo gioca in Difesa
Roberto Jucci - Famiglia Cristiana
Il generale Roberto Jucci interviene nel dibattito di questi giorni suscitato dall’annuncio dei tagli alle spese militari e del progetto che definisce le nuove Forze Armate.
Abbiamo un Governo “tecnico”. Il termine viene utilizzato sostanzialmente per distinguerlo da un Governo “politico” ma è comunque vero che i ministri componenti, ciascuno nei propri ambiti, sono validissimi “tecnici”. Ed anche l’ammiraglio Giampaolo Di Paola, attuale Ministro della Difesa, è un tecnico ed alla sua specifica competenza il premier si è affidato per far si che l’attuale strumento militare possa essere rivisto.
Sull’argomento difesa sono un “tecnico” anch’io e non solo perché sono un generale, quindi un “addetto ai lavori”, ma per aver lavorato attivamente nel passato alla stesura della legge che ha disegnato, nella sostanza, le attuali strutture militari, oltreché per aver partecipato a numerosi “programmi” e Commissioni per l’acquisto di armamenti. Penso dunque di poter utilmente spiegare gli interventi che, immagino, il mio illustre collega avrà in animo di attuare fra breve.
Taurinense Ritengo che il ministro intenda procedere su tre componenti dello strumento militare e cioè: il numero del personale addetto, le strutture centrali e periferiche, gli armamenti. Il personale è il primo di questi tre aspetti. Siamo chiamati a dare il nostro contributo all’estero, ed ovviamente dovranno prioritariamente essere riesaminate le esigenze delle attuali 25 missioni di pace. Le nostre truppe attualmente impegnate in Afghanistan, ad esempio, potranno ragionevolmente tornare a casa già ai primi del 2014 visto che l’America ha dichiarato di voler porre fine al suo impegno in Afganistan entro tale anno ed i contingenti americani saranno ovviamente gli ultimi a lasciare quel Paese.
Attualmente le tre Forze Armate hanno un organico di circa 180.000 unità, di cui circa 100.000 dell’Esercito, circa 35.000 della Marina Militare, circa 45.000 dell’Aeronautica Militare. Volendo ridimensionare l’organico di 30.000 unità, come sembra sia nell’intenzione degli Organi Responsabili, si dovrà tener presente che l’Esercito viene impiegato anche per compiti che nulla hanno a che fare con la sua missione fondamentale, (interventi di protezione civile, di ausilio alla popolazione in difficoltà come ad esempio la spalatura della neve e finanche la raccolta dei rifiuti), e che le missioni all’estero sono costituite per la maggior parte da personale dell’Esercito che nel passato ha contato infatti il maggior numero di caduti.
L’Esercito per i suddetti motivi dovrebbe subire pertanto i tagli minori. Ipotizzando tuttavia tagli lineari di 10.000 unità per ciascuna Forza Armata, si perverrebbe ad un organico pari a circa 90.000 unità per l’Esercito, 25.000 per la Marina e 35.000 per l’Aeronautica. Su questo numero di militari andranno calibrate le strutture e gli armamenti.
Le attuali “strutture” sono in buona sostanza quelle previste dalla legge delega del 1966, legge che conosco bene perché me ne occupai quando ero in servizio al Gabinetto dell’allora Ministro della Difesa e insieme al professor Guglielmo Negri, illustre costituzionalista, ne predisposi la bozza per la successiva approvazione. Al tempo, ricordo, l’obiettivo che ci proponevamo era quello di operare una “ottimizzazione” delle strutture ed avremmo voluto allora fare tagli ben maggiori di quelli che riuscimmo poi ad attuare. Alcuni (ed io ero tra questi) speravano di riuscire a realizzare un unico Stato Maggiore ma purtroppo per ragioni politiche e per le forti resistenze degli Stati Maggiori non riuscimmo ad operare tagli superiori al 30%; riuscimmo però ad eliminare i Segretariati Generali di Forza Armata e alcune Direzioni Generali di Forza Armata.
L’organico delle tre Forze Armate era a quel tempo di circa 600.000 unità e le strutture di comando furono, se pur generosamente, proporzionate a tale numero di militari. Successivamente, come è noto, anche per l’eliminazione della leva obbligatoria, il numero di militari è progressivamente diminuito, malgrado ciò quello delle strutture è rimasto incredibilmente stabile, anzi in qualche caso è addirittura aumentato. Così oggi, con un organico di circa 180.000 unità abbiamo di fatto le medesime strutture che avevamo ai miei tempi con 600.000 uomini. E’ impensabile.
Oggi, con un prossimo organico di circa 150.000 unità, le direzioni centrali dovrebbero essere eliminate, lo Stato Maggiore della Difesa dovrebbe inglobare gli altri Stati Maggiori, le direzioni generali dovrebbero essere dimezzate, la logistica, con i relativi ruoli, dovrebbe essere unificata. Si deve anche considerare che con la eliminazione della leva obbligatoria vengono snellite di molto le operazioni di reclutamento e dei richiami previsti in caso di mobilitazione.
Per tutti gli organi centrali non dovrebbero essere impiegate più di 2000/3000 unità ottenendo così uno strumento militare più efficiente, più snello, più operativo, sburocratizzato, con una azione di comando più aderente e più efficiente. Quanti palazzi poi si svuoterebbero. La gran parte del personale civile (ma anche molti ufficiali e sottufficiali), potrebbe utilmente transitare in altre istituzioni, specie in quelle che lamentano carenze di organico come le istituzioni della Giustizia.
E che dire delle centinaia tra generali e ammiragli, oggi circa 600 in tutto? Potrebbero tranquillamente essere più che dimezzati. Nel 1992 il Ministro pro-tempore mi fece fare uno studio al riguardo. Pur prevedendo per ciascuno di loro un congruo indennizzo per ogni anno di congedo anticipato, in uno o due anni grazie alla diminuzione di uffici, macchine, eccetera, saremmo riusciti a recuperare interamente la spesa. Mangusta
Armamenti: non sono in condizioni di fare un esame analitico dei singoli sistemi per ciascuna Forza Armata che sono attualmente all’esame per i conseguenti approvvigionamenti. E’ comunque evidente che, in ogni caso, gli armamenti dovrebbero essere dimensionati anche in relazione al personale che sarà disponibile. Se i dati che ho letto sugli organi di stampa sono veritieri, ovviamente valutando caso per caso, penso che grosso modo gli armamenti in un prossimo futuro potranno essere pressoché dimezzati.
Attenzione poi ai costi reali per l’acquisto degli armamenti, e sottolineo “acquisto”, non “manutenzione”, quelli sono costi che vanno computati a parte. Mi preoccupo perché purtroppo in tempi passati le somme fissate inizialmente, nell’arco di tempo tra l’avvio e la consegna della commessa, inevitabilmente si triplicavano. Mi vengono in mente al riguardo i mitici aerei F 35, di cui tanto si è recentemente discusso; spero che i costi siano stati determinati con il sistema “chiavi in mano” perchè in caso contrario altro che 15 miliardi di euro per acquisire i 131 aerei previsti (o circa 10 miliardi se l’acquisizione è ridotta di 40 unità)!
Certo un qualche ritorno economico per le nostre ditte in Italia ci sarà pure nel tempo e certamente nel contratto sarà stata stabilita la percentuale della spesa a favore delle ditte italiane. Anche questo è un aspetto da considerare con cura e contestualmente alla firma del contratto. Sulla base della mia esperienza, allorché fui copresidente di una Commissione italo- americana per il bilanciamento delle commesse nel 1983/84 per conto del Ministro Spadolini (l’altro copresidente era il Sottosegretario alla Difesa America, Pearl), ebbi modo di rilevare che per le commesse più costose e tecnicamente più avanzate, gli aerei per l’appunto, le componenti essenziali, le più dispendiose, erano prodotte da ditte americane che ne possedevano i brevetti, a noi ahimè restavano giusto le briciole.
Sempre nel 1982/83 il ministro Spadolini mi mandò in America per verificare la opportunità di dotare la Marina Militare di una portaerei che garantisse ai nostri aerei di poter operare in qualsiasi zona dell’area del Mediterraneo. La soluzione di gran lunga più economica sarebbe stata indubbiamente quella di attrezzare opportunamente gli aerei Lockheed per il rifornimento in volo, come fu fatto dagli israeliani quando bombardarono Tunisi; fu scelta comunque la soluzione portaerei, assai più costosa in verità, ma che dava lavoro ai nostri cantieri. In una generale valutazione del rapporto costi –benefici tale scelta, allora, poteva essere ritenuta accettabile.
Ed oggi? Spero che aanche in questo caso sia stato considerato quali ditte italiane avrebbero potuto coprodurre gli aerei e la percentuale di spesa a favore delle nostre ditte. L’ammiraglio Di Paola è un tecnico di grande esperienza, e ben conosce i problemi che io ho qui appena accennato; sono problemi “atavici” che la Difesa si porta dietro da molti anni. Io ai miei tempi ho fatto ciò che ho potuto, confido che oggi il ministro possa riuscire finalmente a ristrutturare con piena efficacia le Forze Armate, riducendo la spesa militare, ed ottenendo uno strumento nel suo complesso più efficiente ed a misura del nostro Paese.
Fonte: www.famigliacristiana.it
17 Febbraio 2012