Qualcosa di nuovo sul fronte…


Paola Caridi - invisiblearabs.com


Il processo di pace langue (ormai da anni, a dire il vero), l’impasse è totale, ma ci sono parole, in questi giorni, che potrebbero cambiare il panorama in Medio Oriente.


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Qualcosa di nuovo sul fronte...

 I dirigenti palestinesi (di Ramallah) parlano con sempre più frequenza, in questi giorni, della possibilità di proclamare unilateralmente lo Stato di Palestina. Una mossa che avrebbe la forza di una tempesta, per il processo di pace. E infatti la reazione israeliana è stata immediata, reiterata, e dura.

No, non è il processo di pace. Quello è fermo, immobile, e a quanto sembra nessuno ha realmente voglia di riaprirlo: né i diretti interessati, né – forse – i vari attori internazionali che stanno attorno ai protagonisti. E allora? Cosa succede di nuovo? Succedono, per ora, solo "parole", ma quelle "parole" hanno avuto il potere di smuovere, e di molto, le acque.

L'antefatto. Il premier Salam Fayyad parla, settimane fa, di uno Stato palestinese entro due anni. Pochi giorni fa, poi, cominciano a uscire, sempre da parte dell'Autorità Nazionale, dichiarazioni su dichiarazioni che hanno un solo tema. La Palestina potrebbe decidere unilateralmente di proclamarsi Stato. E di raccogliere, attorno all'autoproclamazione, il sostegno delle Nazioni Unite. Le dichiarazioni arrivano in concomitanza con il 15 novembre: per i palestinesi, è l'anniversario della dichiarazione d'indipendenza del 1988. Scuole e uffici chiusi, festa nazionale che anche Hamas a Gaza ha dovuto celebrare, dopo un iniziale tentativo di trasformarla, nelle scuole, in una giornata di studio sulla Palestina.

Non è la prima volta che i palestinesi agitano l'autoproclamazione dello Stato. Lo aveva fatto anche Yasser Arafat. Ma stavolta sembra diverso. La novità sta nell'atteggiamento fuori dal Medio Oriente. Perché stavolta, l'idea di uno Stato palestinese che si dichiara tale sulla Linea dell'armistizio del 1949, non è stata condannata a priori. Anzi, suscita – dietro le quinte – più di qualche reazione positiva. Fayyad ne ha anche parlato ieri ad alcuni congressisti americani a Ramallah, confermando la giustezza – secondo lui – dell'unilateralismo palestinese.

L'unilateralismo è l'accusa che arriva invece dall'altra parte della barricata. Da tutti i leader israeliani, che hanno riempito di dichiarazioni l'informazione dell'inizio di settimana. Tutti i leader, compreso Benjamin Netanyahu, che ha usato parole dure al Saban Forum a Gerusalemme. "There is no substitute for negotiations between Israel and the Palestinian Authority and any unilateral path will only unravel the framework of agreements between us and will only bring unilateral steps from Israel's side".

Verrebbe da pensare che sono stati proprio gli israeliani a usare l'unilateralismo come strumento per spingere il processo di pace entro una certa direzione. Con il disimpegno da Gaza nel 2005. Ma Netanyahu era contro il disimpegno deciso e voluto da Ariel Sharon. Netanyahu è stato sempre contro l'unilateralismo. Semmai, con un negoziato in cui il più forte è sempre e comunque Israele, ma mai fuori da un negoziato.

Il vero nodo dell'unilateralismo palestinese è un altro. Ed è questo altro che cambia le carte in tavola. La proclamazione dello Stato palestinese non solo riporta i confini del 1967 nel gioco reale, nonostante la presenza delle colonie israeliane in Cisgiordania e dentro Gerusalemme est. Mette soprattutto Israele in una posizione completamente diversa. Come mi ha detto un analista israeliano, il timore è proprio questo cambiamento di ruolo: Israele non è più l'unico Stato presente e riconosciuto in questo conflitto, accanto a una entità che ha quasi tutto di indefinito. Israele diviene uno Stato accanto a un altro Stato, la Palestina, e la questione delle colonie diviene un contenzioso territoriale, in cui l'occupante deve chiedere all'occupato di fare alcune concessioni.

Il cambiamento profondo è evidente. Tutto viene rimesso in discussione. Tutto, tranne l'unica cosa che era stata veramente messa in discussione nei fatti, negli scorsi decenni. E cioè la Linea Verde, che ritornerebbe in gioco come la linea di confine sulla quale discutere alla pari. Sarebbe una svolta. Ma per ora, ci sono solo parole. Pesanti, ma pur sempre solo parole.

Fonte: blog di Paola Caridi

16 novembre 2009

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