Pyongyang e il rischio ben calcolato
Emanuele Giordana - Lettera22
La Corea del Nord approfitta di un’Amministrazione ondivaga e litigiosa. E con le ore contate.
La provocazione è un ingrediente chiave della politica estera nordcoreana. E la prassi del “rischio calcolato”, come noi occidentali l'abbiamo chiamata, è una teoria politica portata avanti con fermezza da Pyongyang. In questo quadro ormai arcinoto sembra rientrare l'ennesima crisi che, come sempre, finisce ad opporre il regno eremita all'impero americano.
Come annunciato i nordcoreani hanno disposto la rimozione dei sigilli nell'impianto di trattamento del plutonio di Yongbyon. All'Agenzia per l'energia atomica di Vienna il dossier nordcoreano è caldo e l'Aiea ha informato che i coreani intendono introdurre materiali nucleari e far ripartire l'impianto in una settimana. La Casa Bianca chiede che Pyongyang faccia “marcia indietro” e si adegui agli obblighi dell' “accordo a Sei”, il tavolo diplomatico in cui sono rappresentati, oltre ai due contendenti, i coreani del Sud, il Giappone, la Russia e la Cina, ospite del negoziato e vero mediatore della situazione. Condoleezza Rice ha gettato acqua sul fuoco: “il negoziato va avanti”.
Alcuni osservatori sostengono che i coreani alzano il tiro approfittando della debolezza congenita alla fine di un mandato presidenziale. Sanno che il raffreddamento della crisi nordcoreana fu una delle poche vittorie della diplomazia americana ma anche il frutto di una battaglia interna, che non pare ancora sopita, tra modi diversi di intendere il rapporto, più che con gli alleati, con gli avversari. La crisi coreana è stato un paradigma per leggere la querelle interna all'Amministrazione che si rifletteva poi sulla scelta dei negoziatori che alla fine hanno però sempre dato maggior ascolto al Dipartimento di Stato (le colombe) che non alla Difesa o alla vicepresidenza (i falchi) . Il presidente è sempre rimasto in mezzo, vagamente indeciso tra l'asse del male e la realpolitik. Se ce ne siamo accorti noi figurarsi a Pyongyang. Il prossimo presidente dovrà essere l'espressione di una voce sola. Solo così potrà disinnescare la mina vagante del rischio calcolato.
Fonte: Lettera22
25 settembre 2008