Più che per la pace, contro l’indifferenza
Stefano Rossini
La mia PerugiAssisi: in mezzo alle bandiere, ai sorrisi, alle facce colorate della marcia per la pace si ha per qualche ora l’illusione che il pianeta abbia un’alternativa.
Foto di Roberto Brancolini
In mezzo alle bandiere, ai sorrisi, alle facce colorate della marcia per la pace si ha per qualche ora l’illusione che il pianeta abbia un’alternativa. C’è una leggerezza, in quella giornata, che contagia le persone e i luoghi, e che per un attimo lascia intravedere lo spiraglio di un mondo diverso, tanto bello quanto lontano. Anche la nebbia delle prime ore della mattina, o la pioggia, sono solo elementi che marciano assieme alle persone. Io, come penso molti altri, sono così assuefatto a questa versione della società, che mentre cammino, mentre guardo gli altri camminare e li sento parlare, e ascolto le parole che vengono dette, mi faccio trascinare, ci credo, mi piace, ma continuo a sentire una voce che dice: no.
A rinforzare questo schiaffo di normalità arriva il rientro, il traffico, il lavoro e le notizie dei telegiornali, che già dal 9 mattina, mentre oltre 100mila persone camminavano da Perugia verso Assisi per testimoniare la loro scelta di nonviolenza, bombardavano gli ascoltatori con attentati a Gerusalemme, allarme terrorismo in Germania, Afghanistan, la grettezza di Trump, il cinismo dei venditori di armi e altre lunghe liste della peggior umanità. C’è solo l’imbarazzo della scelta. La sensazione che serpeggiava nel giorno della marcia diventa subito radicata certezza.
E’ stato bello marciare per 26 chilometri da Perugia ad Assisi, ed è stato bello raccogliere le parole e i volti delle persone che lo hanno fatto. Ma a cosa è servito? Una domanda che in tanti si fanno, tanto che il “ma serve davvero la marcia?” è stato uno dei leit motiv della #PerugiAssisi del 2016. Cosa che dimostra una grande maturità e presa di coscienza sia da parte degli organizzatori, che di tutte le persone che hanno partecipato. Persone che hanno creduto e credono fermamente in quello che fanno, ma senza essere così arroganti o superficiali da non lasciare spazio al dubbio e all’incertezza.
E in effetti: a cosa serve marciare per la pace? Ferma le bombe? Blocca i proiettili? Fa cambiare idea agli attentatori, ai cinici, agli spietati? No. Serve a pulirsi la coscienza? Neanche. Ci sono modi meno faticosi: un commento su facebook, una firma online, una donazione lontana.
No, per quanto mi riguarda, marciare per la pace ha due significati, espressi chiaramente da due rappresentanti di questa marcia. Il primo è Don Luigi Ciotti, che ha detto: “E’ importante anche dire da che parte si sta, perché in questo momento la situazione è gravissima. Ci commuoviamo, ma quando è ora di muoverci ci dobbiamo muovere”.
Fare sentire la propria voce, prendere posizione, muoversi. Non è una rivoluzione, ma è un gesto significativo. Già alzarsi in piedi lo è – basta non fare la sentinella in piedi.
Inoltre la marcia, come tutti i gesti simbolici, ha il valore di risvegliare buoni comportamenti e buone pratiche. L’altro messaggio della Perugia Assisi del 2016, infatti, è quello della pace a km0, locuzione presa dall’ormai onnipresente enogastronomia.
Cioè: fare la marcia una volta l’anno non serve a niente se finisce lì. La pace la si fa nei piccoli gesti quotidiani, nelle gentilezze e anche nell’attenzione a spegnere la luce di casa per consumare di meno e dare meno giustificazione alla guerra delle risorse.
Stronzate? Forse in un piccolo gesto di una persona. Ma come sempre, per la legge dei grandi numeri, basta moltiplicare il piccolo gesto per milioni di persone.
La sindaca di Assisi Stefania Proietti l’ha detto chiaro e tondo, e tutti hanno applaudito. Tutti sono stati d’accordo. “Fare pace a chilometro zero – ha detto – è farla nelle scelte di ogni giorno che riguardano anche la sobrietà della nostra vita. Significa spegnere la luce pensando che non ho solo un euro meno in bolletta, ma che sto salvando la vita di un bambino. E sto facendo pace perché se combatto quell’iniquità globale, io sto lavorando e lottando per la pace”. Eppure, ogni volta che a Santa Maria degli Angeli andavo al bagno comune, lo trovavo con la luce accesa e la ventola in funzione. Chissà da quanto.
Altro che bombe! L’abitudine è la bestia peggiore che abbiamo contro. L’abitudine di non cambiare quello che facciamo anche se serve per migliorare, perché è uno sforzo; l’abitudine di aver paura dell’estraneo, l’abitudine della pigrizia. L’abitudine e l’indifferenza. Perché ci sta, perché ne abbiamo mille, e abbiamo anche le nostre ragioni di non aver voglia, e di voler cedere all’abitudine. Ma ogni volta che lo facciamo paghiamo qualcosa. Ogni azione ha una reazione. Tanto più in un sistema chiuso come è il mondo.
Qualcosa che per noi sembra piccolo, insignificante, ma come l’effetto farfalla ha grosse ripercussioni in altre parti del globo. Un interruttore qui, una guerra là. Ci sembra ingiusto doverci mettere sulle spalle tutte queste responsabilità, forse lo è, eppure, se non lo facciamo tutti, le cose continueranno per inerzia: la roccia rotola, e trascina tutto con sé.
Odio gli indifferenti diceva Gramsci. Nella vita si è partigiani. E alla fine è vero, perché anche una non scelta, è una scelta.
“L’indifferenza è il peso morto della storia. L’indifferenza opera potentemente nella storia. Opera passivamente, ma opera. È la fatalità; è ciò su cui non si può contare; è ciò che sconvolge i programmi, che rovescia i piani meglio costruiti; è la materia bruta che strozza l’intelligenza”.
Avrei voluto scrivere mille parole mie sull’indifferenza, ma queste tre righe di Antonio Gramsci riassumono e descrivono meglio di come avrei potuto fare io.
E poi mi piace, perché Gramsci si incazza: “Odio gli indifferenti anche per questo: perché mi dà fastidio il loro piagnisteo da eterni innocenti. Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti”
Ecco che i 100mila della Marcia, che mi sembravano tanti, ora paiono pochi, sparuti, illusi.
E’ una piccola ribellione la marcia, a modo suo, è la scelta di non stare alla finestra a guardare, ma di scendere, e muoversi.
Come sempre, a me viene in mente la fantascienza. Vengono in mente gli Eloi, le creature che H.G Wells – scrittore della macchina del tempo – immagina in un futuro lontanissimo, insieme ai Morlock. I primi vivono beati e tranquilli senza fare nulla se non mangiare, danzare e divertirsi, nella perpetua illusione che le cose andranno sempre bene e continueranno così. Ma la notte i Morlock arrivano, salgono dalle scure e sporche profondità in cui vivono, li prendono e li divorano. Oppure i film del grande George Romero, maestro dell’horror e padre degli zombie. Orde di persone, non morti, imbambolati ma affamati, che camminano senza mai fermarsi, verso le roccaforti in cui i vivi si rinchiudono e si difendono. Barbari! Barbari alle porte, come scrive Coetzee nel suo bellissimo libro “Aspettando i barbari”. Barbari che camminano e che vengono a pretendere la parte di mondo che gli spetta e di cui noi godiamo. La loro sì che è una marcia, che non viene ostacolata dai deserti, dal mare, dalle reti, dalle ronde.
Barbari! Alla fine coi barbari o si scende a patti o si perde. La storia lo insegna: gli imperi assediati dai barbari col tempo crollano. Tacito, storico romano del secondo secolo, periodo di massima espansione dell’impero romano, e periodo di grande confronto e scontro con le popolazioni al di là del confine, conosce e ammira i Germani, fino ad arrivare a sostenere che loro siano i veri romani, i nuovi romani, perché vivono liberi, hanno un’etica e amano la libertà, mentre i cittadini dell’imperatore affogano nell’indifferenza e nel vizio.
Paragone un po’ forzato? Forse. Probabilmente sì. Ma le similitudini non mancano.
Eloi contro Morlock, Romani contro Germani, Vivi contro Zombie?
Io spero che la fantascienza non abbia indovinato anche il prosieguo della storia.
Stefano Rossini, Rimini
11 ottobre 2016
Fonte: www.newsrimini.it