Pista iraniana
Emanuele Giordana - Lettera22
Intervista di Emanuele Giordana a Danish Karokhel di Pajhwok, Afghan News-Kabul, sulla strage nel Gulistan.
Kabul – C'è una pista iraniana dietro la strage dei soldati italiani nella valle del Gulistan. E' l'ipotesi di Danish Karokhel, uno dei più noti giornalisti afgani, direttore dell'Agenzia di notizie Pajhwok, una delle prime esperienze del nuovo giornalismo nel Paese dell'Hindukush. “E difficile dire chi ha colpito – dice Karokhel – anche perché i talebani sono sempre più mobili e possono attaccare dove e quando vogliono. Pianificano l'azione e cercano di ottenere l'effetto maggiore, un'ampia audience mediatica, un risultato efficace sotto molti aspetti. Ma dietro la sigla ci sono molte realtà. Realtà in qualche modo legate ai talebani o altre forze che fanno gli interessi di altri Paesi. Considerando la zona, e più in generale le province di Herat, Farah, Nimroz, e considerando quanto avvenuto nel passato, questa seconda ipotesi è più che probabile”.
E il paese in questione è l'Iran?
Ci sono molti elementi a conforto di questa ipotesi. Giovedi scorso è stato arrestato a Farah una persona che trasportava esplosivo e il governo ha chiesto spiegazioni a Teheran che ha ammesso che il materiale era di provenienza iraniana…ma che il governo non ne sapeva nulla. E' un esempio ma se andiamo indietro, a parte quanto è stato detto all'estero sull'ingerenza iraniana, un paio di anni fa venne arrestato un iraniano che proveniva dall'Helmand e aveva addosso un filmato per la formazione di combattenti. Ma se non volgiamo andare tanto lontano, le dico che qualche giorno fa eravamo stati invitati a Teheran per una conferenza sulla cultura dei due Paesi. Mi aspettavo che di quello si parlasse e invece ho dovuto ascoltare l'intervento di un membro importante del parlamento che ci invitava…alla lotta. In tre ci siamo alzati e ce ne siamo andati. L'Iran ha la sua agenda in Afghanistan e ci sono sospetti che finanzi gruppi che rispondono a Teheran o che forniscano aiuto agli stessi talebani. La frontiera tra i due Paesi è molto lunga.
Forse per bilanciare l'influenza pachistana?
In un certo senso fanno come i pachistani ma il loro obiettivo principale è creare problemi soprattutto agli americani e alla Nato specie nelle province di confine. Ci sono gruppi armati disponibili a servire quegli interessi. Dopodiché se i talebani dell'Helmand, che non hanno una grande forza nella regione occidentale, hanno bisogno di una mano, c'è chi gliela dà e certo i talebani non vanno troppo per il sottile: hanno bisogno di armi, sostegno, denaro…le faccio un altro esempio. Tempo fa un gruppo di guerriglieri che rispondevano a mullah Dadullah (il sequestratore di Daniele Mastrogiacomo, poi ucciso ndr) andarono in Iraq per lavorare con Al Qaeda. Erano settanta persone. Come hanno fatto ad attraversare tranquillamente il territorio iraniano?
E' sicuramente una situazione di estrema confusione e difficile da decifrare. Ma secondo lei gli afgani le differenze le fanno? Voglio dire, un soldato americano, uno britannico e uno italiano sono la stessa cosa?
Dipende. Così in generale potrei dirle che si, per gli afgani tutti i soldati sono uguali. Sono…“americani”, in un certo senso. Ma c'è chi la distinzione la fa e non solo la gente istruita. Gli afgani fanno la differenza sui diversi comportamenti così come la gente istruita e informata sa quello che fate, le scuole che costruite, le strade a cui lavorate, quello che fa il Prt
Torno alla confusione che riguarda anche il processo di pace. Si è parlato molto in questi giorni degli Haqqani, della shura di Quetta, di mediazioni saudite o pachistane. Cosa c'è di vero?
Di vero c'è che qualcosa si muove. Lo deduco dai fatti. Gli Haqqani (filiera talebana indipendente ndr) sono i responsabili delle azioni più efferate e violente: l'assalto al Serena e alla Guest House di Unama, l'attentato a Karzai. Eppure negli ultimi otto-nove mesi sembra che si siano calmati. E non è perché il nostro esercito li tiene a bada. C'è qualcosa, forse un accordo, un negoziato in cui ci sono di mezzo i pachistani
Che vorrebbero controllare il processo di pace…
Forse Karzai e Islamabad stanno arrivando a un accord. Forse già c'è. I rapporti con Zardari sono ottimi, tanto cattivi erano quelli con Musharraf. E poi il Pakistan ha un problema interno e se ne sta rendendo conto
Gli attori esterni regionali sono solo loro o c'è una pista saudita?
C'è un pista saudita. I rapporti con Riad sono ottimi. Ogni anno 30mila afgani praticano l'Haji, il viaggio alla Mecca. Quest'anno saranno 5mila in più. I sauditi sanno che un Afghanistan in queste condizioni è un pericolo. Che il prossimo target dei qaedisti è il regno dei Saud. Ma qualcosa è cambiato. Due anni fa i sauditi davano più retta al Pakistan che all'Afghanistan. Adesso è diverso ed è merito anche della comunità internazionale. Ora, tutti sanno quali sono le responsabilità del Pakistan e se il Pakistan è sincero con se stesso sa che per uscirne bisogna arrivare a una svolta sennò sarà, come già accade, anche Islamabad a pagare il presso della guerra afgana. Da questo punto di vista la presenza dei sauditi interessa anche loro.
Fonte: www.lettera22.it
10 Ottobre 2010