Piccola storia kosovara
Ennio Remondino
"Attorno al Kosovo lacerato, tra pasticci, pateracchi e porcate di ogni natura e provenienza, la violenza sembra il solo patrimonio condiviso. Di quanti altri Zoran o Illiri o Ashim dovremo raccontare ancora?".
Il dettaglio che la storia non la cambia ma te la fa leggere in altra maniera. Nulla che possa giustificare la violenza di quell’assalto all’ambasciata americana di Belgrado che abbiamo visto giovedì sera in mondovisione. Un morto anonimo, tra quei giovani violenti, raccontavo in diretta. Notizia che, nel pensiero nascosto di tutti noi, si trasformava in un cinico, “se l’era cercata”. Ora sappiamo che quel corpo carbonizzato trovato al primo piano dell’ambasciata fortilizio, 20 anni addietro era stato chiamato Zoran. Sappiamo anche che la violenza, nella vita di Zoran Vujovic, era una sorta di maledizione. Non una vocazione, non una sua scelta.
Zoran e la sua famiglia facevano parte delle centinaia di migliaia di serbi che vivano in Kosovo, lui a Čaglavica, alle porte di Pristina. Erano i tempi delle bombe Nato, quando le fughe etniche si alternavano. Dopo le colonne di albanesi in fuga verso la Macedonia e l’Albania, nel Kosovo “liberato,” tocca ai serbi scappare.
Zoran Vujovic allora ha 11 anni e forse non capisce. E’ profugo, tra altre migliaia e migliaia, e trova rifugio a Novi Sad, nel nord vicino all’Ungheria, da dove assiste alla rivolta popolare contro Milosevic e alla nascita di nuove speranze in Serbia. Studente alla facoltà di economia, futuro manager, se si fosse limitato a guardare al suo futuro. Ma evidentemente quel Kosovo lontano ed ormai irraggiungibile faceva parte della sua vita e del suo destino.
Zoran Vujovic non ha ancora un volto e nell’immagine necessaria a noi, ha quindi le sembianze di ciascuno dei ragazzi che abbiamo visto nelle strade kosovare delle proteste di Mitrovica. Lo stesso volto dei loro coetanei festanti in un tripudio di bandiere albanesi, a Pristina. L’età in cui parole come “compromesso” si traducono in pasticcio, la “mediazione” in pateracchio e la “realpolitik” in porcata. Attorno al Kosovo lacerato, tra pasticci, pateracchi e porcate di ogni natura e provenienza, la violenza sembra il solo patrimonio condiviso. Di quanti altri Zoran o Illiri o Ashim dovremo raccontare ancora?
Fonte: Articolo21
23 febbraio 2008