Permesso di soggiorno a punti, Migrantes: “In questa Italia sarà inefficace”


Redattore Sociale


L’analisi del direttore mons. Perego: “Senza una politica che consideri residenza e cittadinanza come punti fermi, il permesso a punti rischia di essere solo un supplemento di burocrazia. Puntare sulle 150 ore, in accordo con imprese e sindacati”.


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Permesso di soggiorno a punti, Migrantes: "In questa Italia sarà inefficace"

ROMA – Uno strumento che in sé può anche essere positivo, ma che in una realtà come quella italiana appare come estemporaneo e inefficace. Così a mons. Giancarlo Perego, direttore generale della Migrantes, si presenta il permesso di soggiorno a punti annunciato ieri dai ministri dell’Interno e del Lavoro: nel nostro paese, a suo giudizio, mancano infatti quei paletti fondamentali, quelle strutture essenziali per l’integrazione, che rappresentano un prerequisito per fare in modo che strumenti come il permesso di soggiorno a punti possano avere successo. Per dirla con un paragone, quello della patente a punti, la condizione dell’immigrato sarebbe quella di dover acquisire un permesso di guida valido vivendo però una situazione in cui mancano strade adeguate, non ci sono cartelli stradali, non vi è alcuna indicazione che aiuti nell’utilizzo dello strumento conseguito.
 
“Prima di lavorare su strumenti che rendono nella pratica più difficoltoso il percorso di incontro, regolarizzazione e integrazione – spiega Perego – bisogna lavorare nel concreto sui cardini della cittadinanza e della residenza, costruendo una vera struttura intorno a ciò e destinando risorse: investimenti che finora però non abbiamo visto”. Per il direttore di Migrantes “di fronte ad un paese che anziché dopo 40 giorni ti dà il permesso di soggiorno dopo un anno e in cui gli Sportelli immigrazione sono gravati da moltissimo lavoro, la cosa principale è di non aggravare ancora la burocrazia ma di costruire una politica legata al territorio, con la collaborazione di comuni e associazioni, e con un forte rilancio di strumenti come quello delle 150 ore, in accordo con il mondo imprenditoriale e quello sindacale”. In particolare lo strumento delle 150 ore (che lega istruzione e formazione professionale) potrebbe giocare un ruolo importante anche nella valutazione del tipo di presenza sul territorio, del perché una persona è arrivata in Italia, delle sue esigenze di sicurezza sul lavoro. E quanto ai comuni, sarebbe già importante dare loro un ruolo nelle procedure di rinnovo di un permesso di soggiorno già accordato (dando così rilievo al requisito della residenza su un determinato territorio). “Senza una politica di integrazione – dice – ogni strumento rischia di essere o estemporaneo o tale da aggravare l’inefficacia di una situazione già di per sé assai precaria”. Il permesso di soggiorno a punti va dunque “nell’ottica del pacchetto sicurezza”, mira a “credere che la sicurezza passa attraverso uno strumento in più e non attraverso una politica diversa: e noi invece dobbiamo affermare proprio questo, anche perché penso che dal punto di vista del contrasto alla irregolarità questo strumento certamente non aiuti”.
 
Perego fa anche due altre considerazioni. Anzitutto, c’è da sciogliere un pregiudizio, dal momento che “non è vero che il mondo dell’immigrazione non è attento ad imparare la lingua o a iscriversi al Servizio sanitario nazionale”: anzi, tale attenzione è molto forte e deve essere facilitata creando attorno le condizioni perché tali risultati possano essere raggiunti. Da questo punto di vista “lo strumento per far ciò non può essere quello di ordinare qualcosa, non almeno in via prioritaria, ma quello di creare attorno alle persone condizioni favorevoli”. In secondo luogo, non bisogna considerare il migrante sempre e solo come una persona interessata a fermarsi a lungo sul territorio nazionale: tale idea è solamente una ipotesi, che per alcune categorie di immigrati (Perego porta l’esempio delle ucraine specializzate nei servizi alla persona, tutte di età fra 45 e 55 anni, e tutte interessate a far rientro nel proprio paese dopo un certo periodo di tempo) non si realizza affatto. Ecco allora la necessità, per comprendere il fenomeno dell’immigrazione nella sua complessità, di guardare alle storie dei migranti e alle loro stesse esigenze.

Fonte: Redattore Sociale

5 febbraio 2010

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