Perché il 29 gennaio pregherò per padre Paolo


Riccardo Cristiano - Il Mondo di Annibale


“Tu che dici, vorrebbe che si pregasse per lui ora che sono passati sei mesi dal suo sequestro?” Sì, pregare per Paolo è pregare per tutti i siriani….


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“Tu che dici, vorrebbe che si pregasse per lui ora che sono passati sei mesi dal suo sequestro?”

Mi sono posto molte volte questa domanda , mentre si avvicina questa giornata di sua cattività cos’ simbolica, importante, ma non più delle altre che sono venute prima e che verranno dopo, temo. Alla fine ho pensato che lo avrebbe accettato che il 29 gennaio, a sei mesi dal suo sequestro, si pregasse per lui, perché pregando per lui come si potrebbe non farlo anche per il popolo siriano, un popolo che ha detto di aver scelto quale sua sposa, visto che ha vissuto con loro 30 anni e non poteva voltargli spalle o dimenticare, o tollerare quel che accadeva e di cui è stato testimone. Non lo ha tollerato, e ha scelto la difficile via della testimonianza e della missione umanitaria. Non solo quel 29 luglio, ma anche prima, ad esempio quando era già rientrato in Siria, dopo esserne stato cacciato, per l’irreprimibile desiderio di raccogliersi in preghiera sulle fosse comuni lungo le rive del fiume Oronte. Quelle vittime dimenticate erano tutte sunnite .

Sono state rimosse? E’ per questo che voglio ricordare una telefonata, con lui. Prima che partisse per quel viaggio verso l’Oronte ero in ansia, come sarebbe stato chiunque per un amico che si accingeva a rientrare clandestino in Siria, tra bombe e carneficine. Lui mi ha detto che doveva farlo, per quei morti dimenticati dal mondo nelle loro indegne sepolture, ma anche per pregare che non ci fossero vendette stragiste, dall’altra parte del fiume, contro gli alawiti, vissuti da molti, per via delle squadracce assassine di teppa alawita, come “complici collettivi” del regime. Paolo conosce bene la teoria della violenza mimetica .

Questa teoria non serve ad appagare quel bisogno di “politically correct” per cui si parla ma senza dire, tenendosi equidistanti. No, la testimonianza di Paolo è chiara: lui lo ha detto che il regime baathista ha ridotto la Siria a uno Stato Mafia, e che di qui bisogna partire, per capire. Lui lo ha detto che c’è anche ” il qaedismo a orologeria”, costruito dai servizi e dai regimi, manipolato da Damasco. Ma non ha fatto di queste verità la verità “esclusiva”. Ha saputo guardare in faccia l’ insorto fuori dal tempo, che crede davvero “nell’emirato globale”, e ha saputo “parlare con lui” e “parlare di lui”.

Ecco perché in quel bisogno di preghiera “successiva” e “preventiva”, per me, c’è tutto, l’uomo Paolo Dall’Oglio e il monaco Paolo Dall’Oglio, un uomo e un monaco che hanno vissuto simultaneamente e profondamente la radicalità evangelica e che, davanti alla pulizia etnica perpetrata in modo agghiacciante dal regime siriano e dalle milizie ad esso collegate, hanno espresso una coscienza umana e cristiana lacerata, impegnata al fianco delle vittime di ieri pensando alle possibili vittime di ritorsioni, domani . Non poteva fermarsi con un regime intimamente totalitario perché nemico dell’individuo, ma solo lavorare per una Siria che diventi di tutti, con una democrazia consensuale e “colorata d’Islam” come colorata di “radici cristiane” è la nostra .

Così mi sono convinto che il 29 gennaio posso pregare per lui. In che modo lo tengo per me, ma non il motivo; perché pregando per la fine della sua cattività non potrò non vedere nel dettaglio tutti gli orrori di massa che devono finire, in Siria, dal crimine contro l’umanità perpetrato a Yarmouk dove le autorità impediscono l’accesso del cibo da mesi, a quello di Homs, città sotto assedio “lealista” da 600 giorni, a quelli commessi a Raqqa, dove i qaedisti perseguitano chiunque non sia prono al loro oscurantismo criminale. Tempo fa ho letto di un donna che a Raqqa reclamava i suoi diritti davanti alla sede qaedista esibendo un ritratto di Paolo.

Così, dopo tre anni di guerra e sei mesi di sequestro, esporre un fiocco per lui per me sarà bello, sarà un fiocco per Paolo e i nostri fratelli, i bambini, le madri, le mogli, le figlie, le attiviste segregate, insultate, schernite, i denutriti, gli assediati, gli abbandonati, i torturati, i morti, i seviziati nelle prigioni di Stato (sarebbero 11mila), in Siria. Fratelli di tutte le fedi, di tutte le etnie, a partire da quelle più colpite, più perseguitate. Che ci chiedono di non sparire, nel buio di un mondo incapace di vederli nell’epoca dei mille satelliti, spia o non spia. Grazie Paolo, mi hai costretto a non chiudere gli occhi. Ma che terribile fatica; la tua, mica la mia.

Fonte:  Il Mondo di Annibale

27 gennaio 2014

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