Pakistan: la catastrofe climatica e le colpe dell’occidente


La redazione


In Pakistan oltre 1200 vittime per le alluvioni, mentre un terzo del paese è sott’acqua. Il ministro: “I paesi ricchi paghino per i disastri causati dai cambiamenti climatici”.


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“Un disastro climatico di proporzioni bibliche”: così il ministro degli Esteri Bilawal Bhutto Zardari ha definite le alluvioni che si sono abbattute sul Pakistan nelle ultime settimane. Piogge monsoniche di un’intensità senza precedenti che hanno lasciato un terzo del paese sott’acqua, uccidendo più di 1200 persone, un terzo dei quali bambini, e causato danni stimati per oltre 10 miliardi di dollari. Una catastrofe climatica che ha coinvolto oltre 33 milioni di persone (un pakistano su sette) sommergendo oltre 25mila chilometri quadrati di strade e spazzando via edifici, case e ponti. Una calamità paragonabile ai monsoni del 2010, che causarono quasi 2mila decessi, e che furono definite come uno di quegli eventi che si verificano una volta ogni cento anni. Invece, appena 12 anni dopo, il Pakistan si ritrova alle prese con un nuovo disastro climatico provocato dall’aumento delle temperature che rende più probabili precipitazioni estreme. È un fatto che le alluvioni si siano abbattute sul paese dopo mesi di siccità e ondate di calore estreme. Un disastro al limite del paradosso: il Pakistan produce meno dell’1% delle emissioni globali di gas serra, ma si colloca costantemente tra i primi 10 paesi più vulnerabili agli effetti del cambiamento climatico.

 

Il prezzo delle emissioni degli altri?
Il monsone estivo – spiega il New York Times – soffia sull’Asia meridionale da giugno a settembre, portando pioggia e umidità. Generalmente è atteso dagli agricoltori della regione per i loro raccolti. Ma questa stagione ha travolto il Pakistan con precipitazioni di tre volte superiori alla media degli ultimi 30 anni, e in alcune provincie, come quella del Sindh al confine con il Mar Arabico, le piogge hanno superato di cinque volte la media. “Il nostro paese è in prima linea nell’affrontare la crisi climatica e il mondo deve prenderne atto: un paese povero come il Pakistan, che non produce anidride carbonica, che non contribuisce all’effetto serra, sta sopportando le conseguenze più gravi del riscaldamento globale”, ha avvertito il ministro delle Finanze Miftah Ismail. “Il Pakistan sta pagando il prezzo delle emissioni di altri”, ha incalzato la ministra per il cambiamento climatico Sherry Rehman, osservando che “è tempo che le nazioni sviluppate portino a compimento le transizioni energetiche e gli impegni presi alla COP, dall’accordo di Parigi ad oggi”.

 

Instabilità politica vs cambiamenti climatici?
La sfida di preparare il paese ai cambiamenti climatici e a stagioni monsoniche più violente rispetto al passato è complicata dalla persistente instabilità politica. Nessun primo ministro pakistano ha mai portato a termine un intero mandato. Lo scorso aprile, l’ex primo ministro Imran Khan è stato sfiduciato dall’Assemblea nazionale di Islamabad e costretto a dimettersi. Questo mese è stato accusato di aver violato le leggi antiterrorismo nel mezzo di una lotta di potere con l’attuale leadership. Sul fronte socio-economico, il Pakistan può vantare una lunga e imbarazzante serie di record negativi: nel 2020 è risultato 151esimo su 153 paesi per la parità economica di genere, il livello di alfabetizzazione si aggira intorno al 62,5%, circa sessanta milioni di cittadini pakistani sono analfabeti e la mortalità infantile nel paese era, nel 2020, di circa 62 su 1000 (in Unione europea è di circa 3,2 su 1000). La complessa situazione economica è stata aggravata dalle conseguenze della guerra in Ucraina e l’inflazione annuale è salita al 42,3%. Con ogni probabilità, spiega Madiha Afza, “le turbolenze economiche e politiche hanno spostato l’attenzione dalle forti piogge e ritardato la risposta del governo”. Quel che è certo invece è che l’agricoltura subirà un duro colpo: secondo la Banca Mondiale, il settore impiega quasi il 40% della forza lavoro del paese.

 

Aiuti o risarcimenti?
Secondo gli esperti ci vorranno almeno dieci anni prima che il Pakistan si riprenda dalle devastanti conseguenze delle inondazioni. La scorsa settimana il paese ha ottenuto un prestito di 1,1 miliardi di dollari dal Fondo Monetario Internazionale per evitare un default ormai imminente, mentre le Nazioni Unite hanno lanciato un appello per un finanziamento di 160 milioni di dollari per aiutare gli sfollati. Molto si sta facendo ma moltissimo resta ancora da fare. Più che di aiuti – spiega al New York Times Nida Kirmani della Lahore School for Management Sciences – si dovrebbe parlare di “risarcimenti per le ingiustizie accumulate negli ultimi secoli”. Sulla questione della finanza climatica, uno dei nodi irrisolti dei negoziati delle Conferenze sul clima delle Nazioni Unite è tornata la ministra Sherry Rehman: “Ci sono così tante perdite e danni e pochissime riparazioni destinate ai paesi che hanno contribuito così poco alle emissioni inquinanti che ovviamente l’accordo fatto tra il nord e il sud del mondo non funziona. Dobbiamo premere molto duramente per un ripristino degli obiettivi perché il cambiamento climatico sta accelerando molto più velocemente del previsto, sul campo, questo è molto chiaro”.

Fonte: ISPI

 

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