«Pago per far mangiare i bimbi il razzismo non c’entra niente»
Giangiacomo Schiavi
Il buon esempio di Silvano Lancini, il benefattore della mensa: il suo gesto garantirà il pasto a tutti i bambini, ai poveri e ai ricchi, agli italiani e agli stranieri.
MILANO — Meno male, dice l’Italia che scrive all’imprenditore di Adro. Meno male che c’è qualcuno che esce dal buio della cattiveria e ci avvicina a noi stessi e alla nostra umanità, che si ricorda che si deve anche dare qualcosa di quello che si è ricevuto nella vita e che tiene separati i diritti dei bambini dalle inadempienze degli adulti. C’è il campionario di un Paese dove Dignità e Rispetto sono parole che meritano la maiuscola, nei messaggi di solidarietà che da due giorni intasano la casella di posta del Corriere. Ma siccome l’abitudine al peggio e il fango che a volte tracima dalle cronache abilita a pensar male, ecco che la generosità anonima capace di risolvere un problema può diventare sospetta, strumentale: per qualcuno è carità pelosa, un’operazione interessata. Facciamolo parlare l’imprenditore di Adro, diventato famoso senza tv o telerisse, solo per essersi presentato una mattina in Comune e aver saldato con 10 mila euro i debiti accumulati dalla mensa e garantire il pasto a tutti i bambini, ai poveri e ai ricchi, agli italiani e agli stranieri: con il suo gesto ha spiazzato il granitico diktat del sindaco leghista («Chi non paga non mangia») e obbligato tutti a riflettere su come conciliare la legalità con il buon senso, senza passare per difensore dei furbi. Nome Silvano, cognome Lancini, età 55 anni, moglie, tre figli, un passato da insegnante di matematica, un carriera in Ibm, una storia di successo con l'attuale azienda di software informatica: non è sotto processo, ma l’accusano di aver fatto diventare Adro un paese di razzisti… «Non l’ho mai detto e nemmeno pensato. Venderei la casa, se fosse così».
Il sindaco dice che ha pagato la campagna elettorale della lista civica dell’opposizione.
«Fortuna vuole che non abbia versato un solo euro. Ma per caso, perché non me li hanno nemmeno chiesti. Nel caso non me ne vergognerei…».
Per chi ha votato?
«Dal 1996 voto per Forza Italia e poi Pdl. Lo ripeto per evitare speculazioni. Ma evidentemente non basta».
Il sindaco sostiene che lei dice bugie: per esempio, non è il figlio di un mezzadro.
«La mia parola contro la sua. Sono nato in una cascina e mio padre era mezzadro; poi è diventato bidello e ha fatto anche altro. Se vogliamo entrare nel merito, è stato anche in un campo di concentramento, in Germania».
E’ un avversario della Lega, allora?
«Rispetto tutte le opinioni. Io non ce l’ho con la Lega, ho tanti amici che l’hanno votata, ma giudico i fatti: quando vedo scelte che non condivido, lo dico; se fa una cosa buona, dico bravo al sindaco ».
C’è un «bravo» da dire al sindaco di Adro?
«Gli ho espresso i miei apprezzamenti per la gestione della raccolta differenziata, ma se li merita anche per altro: per esempio, è sempre presente e disponibile».
Che cosa gli contesta, invece?
«Il fatto che si sta oltrepassando il limite. Qualche mese fa ha dato un bonus per i vigili: 500 euro per ogni clandestino catturato…».
Che cosa voleva ottenere con il suo assegno consegnato alla responsabile del servizio mensa?
«Primo: non sono andato a pagare per quei genitori che fanno i furbi. Secondo: ho dato il mio contributo per garantire la continuità del servizio. Terzo: ho pensato che il giorno prima di morire quando farò l’inventario degli errori commessi non ci deve essere niente di cui debba vergognarmi».
Che cosa si aspettava, dopo?
«Una semplice considerazione: nelle difficoltà c’è qualcuno che ci può aiutare a risolvere un problema».
Ha ricevuto telefonate dai parroci della zona?
«Nessuna».
Cosa pensa dell’opposizione di sinistra?
«Ha una visione troppo ideologica, per anni ha detto «dagli al leghista» solo perché parla male… ».
Come mai all’inizio ha chiesto l’anonimato? Non era per pudore o paura, ma per lasciare spazio alle opinioni che ho scritto nella lettera. Chi mi conosce mi ha identificato alla terza riga, perché queste cose io le dico da sempre. Non pensavo a questo clamore: volevo rivolgermi alle persone che manifestavano per tagliare la mensa ai figli dei morosi… Invece è diventato un caso nazionale e anche di questo l’accusano.
«Ma non ho preteso nessuna pubblicazione della mia lettera sui giornali, ho un’azienda, dei dipendenti, non immaginavo un bataclan del genere ».
Qual è la sua idea di legalità?
«Quella di tutte le persone normali: rispettare le leggi, non fare agli altri quello che non vorresti venisse fatto a te. E poi fermezza ed educazione. Ricordando chi siamo, quali sono i nostri valori, come evitare le ingiustizie».
I Comuni oggi sono in difficoltà nel garantire certi servizi. Il sindaco non ha tutti i torti nel voler far rispettare i pagamenti.
«Lo capisco, ma a certi estremi non si dovrebbe mai arrivare. Si potevano tagliare altre spese, differenziare le rette in base ai redditi. Io ho messo lì una pezza, lo sentivo come dovere civico. Adesso andate avanti voi, dico: a cercare di far pagare i furbi, senza togliere il piatto dei bambini. Quando ha preso la decisione di andare con l’assegno in mano? Una sera, dopo aver parlato con amici. Ma non si può fare niente?, ho chiesto. Lascia stare, mi è stato risposto. Se fai qualcosa finisci in un tritacarne, ti diranno che sei un comunista, uno che sta dalla parte dei furbi…».
E invece?
«Quella sera ho parlato con mia moglie. Ma che cosa siamo diventati? le ho detto. Perché tutti pensano che non vale la pena darsi da fare per cambiare in meglio le cose? Se sei d’accordo, io vado e porto i 50 mila euro che mancano per continuare a dar da mangiare a tutti i bambini».
Erano cinquantamila euro?
«Si, aveva detto questo il sindaco in tv. Pensavo l’avesse sparata grossa e ne bastassero 30 mila. Invece erano solo 10 mila».
Cosa le ha detto la signora che gestisce la mensa davanti all’assegno?
«Mi ha ringraziato. E io speravo che finite le polemiche si potesse far funzionare il servizio, nella legalità. E’ giusto che chi paga regolarmente non paghi anche per altri. Ma il Comune non deve dimenticare il principio della solidarietà».
Si sente un benefattore?
«No. Lo è chi si è privato del poco che ha per dare un contributo alla gestione della mensa. Loro sì che hanno fatto un vero sacrificio. Non mi sento nemmeno un esempio di solidarietà: fanno molto meglio di me quelli che danno gratuitamente una cosa più importante dei soldi, che è il tempo per gli altri.
Che cosa le ha fatto piacere?
«La lettera di un mio dipendente: sono orgoglioso e onorato di poter lavorare con te. C’è ancora del cuore in questo Paese.
Deluso per certe critiche ?
«Non ci tenevo ad apparire. Chiedo scusa ai tanti che mi hanno cercato: ho già detto tutto nella mia lettera. Ha ragione Olmi: la bontà non dovrebbe fare clamore».
Fonte: Corriere della Sera
16 aprile 2010