Pace e politica: il conflitto è aperto. I costruttori di pace devono essere più uniti e incisivi
Flavio Lotti
Senza la politica non si può pensare di costruire la pace. Ma per fare pace con la politica c’è bisogno di rivedere molte cose. Ecco cosa ha detto Flavio Lotti, coordinatore nazionale della Tavola della pace, ad Assisi. Il dibattito continua sabato 10 maggio 2008 a Padova. Vieni anche tu!
La politica ha dichiarato guerra alla pace. Non ci sono dubbi. L’assenza di pace nel mondo è da imputare innanzitutto all’assenza di una politica di pace. Lo abbiamo denunciato un sacco di volte: se le grandi opportunità che si erano manifestate dopo la caduta del muro di Berlino, dopo la fine della guerra fredda, sono andate sprecate, e Dio solo sa quante erano queste opportunità, è perché la politica non ha saputo e voluto raccoglierle. Abbiamo dunque un problema serio, un conflitto aperto, con la politica.
Da molti anni abbiamo cercato e ostinatamente, testardamente continuiamo a pensare, che non si possa costruire la pace senza la politica. Che lo strumento principale di cui disponiamo, certamente non quello esclusivo, sia quello della politica. Per questo diciamo che dobbiamo fare pace con la politica: la politica per noi oggi è un problema, ma è anche uno strumento irrinunciabile e per questo siamo un po’ arrabbiati. Per questo abbiamo deciso -e badate, non lo abbiamo fatto il giorno dopo che è caduto il Governo- che adesso bisogna rimettersi in gioco tutti quanti.
Per la verità lo abbiamo pensato il giorno dopo della Marcia Perugia-Assisi. Perché vi posso giurare che è stata veramente una gran rabbia quella che ci ha preso quando abbiamo visto archiviare in un solo istante quella manifestazione: televisioni, giornali, e tra questi anche importanti quotidiani della sinistra che non hanno scritto quasi neanche un articolo su quella manifestazione, altri invece un’immagine, una foto, due righe, qualche altro qualcosa di più… ma il giorno dopo era già immediatamente archiviato tutto.
Così è stato per la politica. E badate… la politica sapeva bene cosa andavamo facendo, perché prima della Perugia-Assisi eravamo andati a bussare alle porte dei principali palazzi romani, abbiamo incontrato il Presidente del Consiglio, il Presidente della Camera, i leader di quasi tutte le forze politiche di Governo… Avevamo raccolto tante belle parole, tante belle pacche sulle spalle. Noi gli avevamo consegnato dei documenti e tra questi c’è un documento che raccoglie le richieste politiche che le tanti componenti di questa storia che si chiama Tavola della pace, Marcia Perugia Assisi, stanno cercando di portare avanti con continuità nella quotidianità. Tutto questo era come se non fosse mai esistito.
Avevamo anche chiesto al Presidente del Consiglio e al Ministro della Difesa, che avevamo potuto incontrare per la prima volta, e che ringraziamo ancora di essere stato protagonista di questa prima volta, non di ridurre le spese militari o di aumentare quelle della cooperazione, ma se volevano aprire un confronto permanente con questo popolo che sarebbe da lì a poco sceso in strada da Perugia ad Assisi. Gli avevamo detto: badate, sappiamo di avere opinioni diverse su molte questioni (Vicenza, l’aumento delle spese militari, i tagli ai fondi della cooperazione) ma non su tutte. Noi siamo probabilmente gli unici che nella passata legislatura hanno fatto una manifestazione a favore di questo governo. Ricordo che il 26 agosto 2006 c’è stato qualcuno che qui ad Assisi ha organizzato una manifestazione a sostegno della decisione di questo governo di andare in Libano. Siamo stati quelli che avevamo detto che bisognava farla finita con la guerra in Afghanistan, ma che c’era anche bisogno di aumentare la nostra vicinanza agli iracheni. Noi siamo quelli che a Milano, nello stesso periodo, hanno organizzato una manifestazione nazionale (50mila persone) a sostegno dell’impegno per la pace di questo governo in Medio Oriente per mettere fine alla guerra tra israeliani e palestinesi. Non credo che qualcuno ci possa etichettare come quelli del no, senza se e senza ma.
Noi siamo stati quelli che hanno sempre cercato di coniugare valori con intransigenza, azioni anche radicali, ma anche la ricerca di soluzioni politiche. Non ci siamo mai limitati a denunciare un problema: ci siamo sempre assunti la responsabilità ricercare anche le soluzioni possibili. A fronte di tutto questo, noi che, nel settembre 2005, avevamo accolto il candidato Prodi a Perugia, noi che sin dal 1999 abbiamo cercato di aprire un tavolo di confronto con il governo, siamo stati ancora una volta messi da parte. Vorrei ricordare che il primo a prometterci questo tavolo di confronto fu l’allora Presidente del Consiglio Massimo D’Alema. Era il 1999, avevamo organizzato una Perugia-Assisi straordinaria contro la doppia guerra in Kosovo e subito dopo un’altra Perugia-Assisi dicendo che non eravamo d’accordo con quell’intervento ma crediamo che sia nostra responsabilità lavorare insieme perché le sfide sono troppo grandi per essere delegate ad altri. E D’Alema ci scrisse: “dobbiamo aprire un tavolo permanente di confronto”. Questo tavolo non s’è mai fatto. L’abbiamo richiesto a Prodi quando venne a Perugia e non ci siamo riusciti. Lo abbiamo chiesto al Ministro della difesa e c’è stato detto: …vedremo.
Dunque c’è un problema grave. Quando coloro che cercano di mettere al centro del proprio impegno i grandi problemi dell’umanità, i diritti fondamentali di tante persone, vengono costantemente tenuti ai margini o ignorati io credo che c’è un problema. Quando, in un paese come il nostro, accade che ci sia una ricchezza così straordinaria di associazioni, gruppi comuni, province, regioni, che si impegnano su queste cose senza trovare alcun riscontro nell’attenzione e nelle scelte della politica, c’è un problema grave che non possiamo rimuovere.
Questa è stata l’esperienza degli ultimi due anni. Certo, c’è stata una differenza tra il governo di Berlusconi e il governo Prodi. Le generalizzazioni non ci fanno male. Noi abbiamo marciato da Perugia ad Assisi contro la mala politica, ma anche contro l’antipolitica. E allora dobbiamo imparare a distinguere. Ognuno di noi credo abbia la possibilità e la responsabilità di farlo. Certamente con questo governo si sono aperte le porte di tante istituzioni. Là dove abbiamo trovato qualche responsabile politico più accorto siamo riusciti a camminare un pochino di più. Mentre da altre parti è stato invece molto più faticoso… Ma tutto questo non basta.
E allora,… ci dobbiamo domandare che cosa possiamo fare per affrontare e cambiare questa situazione. Con questo spirito vi propongo due riflessioni.
La prima. Ieri sono stato intervistato da una radio che mi chiedeva dove erano i pacifisti, come mai non avevamo ancora fatto nulla in difesa del popolo curdo della Turchia che è sottoposto ad un’altra azione militare altrimenti detta “guerra”. La persona che mi poneva per l’ennesima volta questa domanda, mi ha fatto riflettere: perché da un lato io la voglia di esprimere una protesta contro questa ennesima guerra ce l’ho dentro e mi stringe come un nodo alla gola non averlo ancora fatto. Allo stesso tempo mi sono però domandato: ma perché lo chiede a me? Perché in tutti questi anni non ho mai sentito un giornalista che chiede agli uomini politici: dove siete? Dov’è la politica? Dove sono i Ministri degli esteri? Dove sono i Governi? Va tutto bene quello che sta accadendo in Turchia, in Somalia, a Gaza e Sderot? Possibile che se c’è da trovare qualcuno a cui chiedere conto si debba andare a cercare proprio i pacifisti? Non è forse vero che bisognerebbe andare a chiedere conto a qualcun altro?
E allora mi sono chiesto: come mai questa domanda ritorna con così tanta forza e insistenza? Ho l’impressione che questa domanda nasca dal riconoscimento che in campo ci siamo rimasti soltanto noi. Ho l’impressione che gli unici che si preoccupano seriamente di quel che accade nel mondo, gli unici che si continuano a preoccupare della gente che muore di fame, della gente che muore sotto le bombe, sotto le dittature sono i cittadini, la gente comune, le organizzazioni della società civile, le istituzioni locali che in questo paese come in nessun altra parte del mondo fanno una marea di cose concrete. Se così fosse dovremmo constatare che la politica è assente, che aldilà di tutte le conferenze, le grandi trattative, i negoziati, i ministeri, la politica su queste cose non c’è: non c’è sui problemi. La politica è assente. Noi, società responsabile, siamo gli unici che, di tanto in tanto, con molta più continuità di quanto appaia, riescono a far emergere anche l’angoscia personale che viviamo quando avvertiamo e sentiamo queste notizie. C’è una relazione intima tra noi e il dolore che c’è nel mondo. Di fronte al dolore del mondo c’è qualcuno di noi che reagisce di scatto, e c’è qualcun altro che non reagisce, pur avendo gli strumenti per poterlo fare. Se le cose stanno così, dobbiamo prenderne atto e agire di conseguenza con lungimiranza perché nessuno può accettare il silenzio della politica.
Seconda riflessione che voglio condividere con voi. Negli ultimi mesi ci siamo chiesti: perché dovremmo continuare ad organizzare, come facciamo ormai da parecchio tempo, una nuova marcia per la pace Perugia-Assisi? Perché dovremmo convocare ancora una volta decine e decine di migliaia di giovani, donne e di uomini a marciare da Perugia ad Assisi? Con quale obiettivo? Con quali risultati?
La Perugia-Assisi è probabilmente diventata la madre di tutte le manifestazioni per la pace, un’esperienza straordinaria, quasi irrinunciabile per chi la vive. Ma se è così preziosa e importante, allora, prima di convocarne una nuova dobbiamo rimettiamola in discussione per cercare di capire se, a partire innanzitutto da noi, non ci sia qualcosa da cambiare per accrescere l’efficacia politica e culturale delle cose che andiamo facendo, di quell’evento e di tutto ciò che facciamo nel resto dell’anno, prima e dopo la Perugia-Assisi.
Con la stessa determinazione oggi noi rimettiamo in discussione la stessa Tavola della Pace, perché sono tanti anni che camminiamo insieme ed è importante capire se questo cammino vada bene, se bisogna proseguirlo in questo modo o dobbiamo cambiare qualcosa. C’è anche chi sarebbe molto contento di chiudere questa esperienza. C’è anche chi ci sta provando in maniera molto delicata, strozzandola lentamente giorno per giorno cercando di dividere coloro che fino ad oggi sono stati insieme. Ci sono quelli che ci provano. Ma qui c’è una storia molto più solida, più ampia, più lunga e non dobbiamo avere timore, ma coraggio. Coraggio di riflettere su questa esperienza e sul cammino che vogliamo ancora fare insieme senza pensare che possa essere il frutto automatico di un processo che si autoriproduce, che esiste e che per il solo fatto di esistere ha un futuro. Non è così. Se crediamo che questa esperienza abbia una sua utilità storica, culturale e politica nel nostro paese, io credo, dobbiamo dircelo con chiarezza e poi impegnarci ancora di più di quanto abbiamo fatto in passato, a farla vivere.
Intervento di Flavio Lotti, coordinatore nazionale della Tavola della pace, al dibattito che si è svolto ad Assisi il 29 febbraio scorso con il titolo “Facciamo pace con la politica”.