Onu: Giornata mondiale per il diritto alla verità sulle violazioni dei diritti umani


Giorgio Beretta - unimondo.org


La giornata internazionale, che si celebra quest’anno per la prima volta, ricorre nell’anniversario dell’assassinio da parte degli squadroni della morte il 24 marzo 1980, di mons. Oscar Arnulfo Romero, arcivescovo di San Salvador.


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Onu: Giornata mondiale per il diritto alla verità sulle violazioni dei diritti umani

“Le vittime di violazioni dei diritti umani e le loro famiglie hanno diritto a conoscere la verità sulle circostanze di queste violazioni, i motivi per cui sono stati perpetrati e l'identità dei perpetratori”. Lo afferma il Segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, nel suo messaggio per la Giornata Internazionale per il diritto alla verità sulle gravi violazioni dei diritti umani e la dignità delle vittime”.

La giornata internazionale, che si celebra quest’anno per la prima volta, ricorre nell’anniversario dell’assassinio da parte degli squadroni della morte il 24 marzo 1980, di mons. Oscar Arnulfo Romero, arcivescovo di San Salvador. “Rendiamo omaggio al lavoro di monsignor Romero e di quello di tutti i difensori dei diritti umani in tutto il mondo” – ha detto Ban Ki-moon. “Trentuno anni fa, in questa data, monsignor Óscar Arnulfo Romero, attivo promotore e difensore dei diritti umani in El Salvador, è stato assassinato durante lo svolgimento della celebrazione eucaristica. L'intento era chiaro: mettere a tacere un ardente avversario della repressione”.

Mons. Oscar Romero, una voce scomoda

Nominato arcivescovo di San Salvador nel 1977, mons. Romero denunciò con forza le violazioni dei diritti umani, soprattutto nei confronti dei più poveri tra la popolazione, perpetrate dal governo salvadoregno in quegli anni sostenuto dall’amministrazione degli Stati Uniti. L’assassinio del sacerdote, p. Rutilio Grande, gesuita e suo collaboratore, ucciso con un anziano e un bambino appena un mese dopo il suo ingresso in diocesi, fu l'evento che rafforzò la sua azione di denuncia delle violenze che porterà la chiesa salvadoregna a pagare un pesante tributo di sangue.

“Il generale Carlos Humberto Romero, salito alla presidenza nel 1977 grazie a elezioni ancora una volta fraudolente e al sostegno statunitense, impose una pesante repressione sociale e politica” – scrive Renzo Paternoster. Aiutato da organizzazioni paramilitari di destra, dalla Policia de hacienda e dalla Guardia Nacional, che si occupano del dissenso interno attraverso omicidi mirati di oppositori al regime, il generale golpista era deciso a ristabilire l’ordine con qualsiasi mezzo a sua disposizione”.

L'esercito, guidato dal partito allora al potere, arriverà anche a profanare ed occupare le chiese, come ad Aguilares, dove furono sterminati più di 200 fedeli lì presenti. Mons. Romero nelle sue omelie, trasmesse dalla radio diocesana che fecero conoscere anche all’estero la situazione di violenze e soprusi in atto in El Salvador, chiese ripetutamente ai soldati di disobbedire agli ordini di sparare sui civili innocenti. La sua azione di denuncia lo espose alle critiche non solo del governo salvadoregno, ma fu inviso anche alle gerarchie cattoliche.

Quando, il 15 ottobre 1979, un colpo di stato rovesciò la giunta di El Salvador, mons. Romero espresse sostegno per il nuovo governo riformista. Ma il suo disincanto crebbe di fronte al perpetrarsi delle violenze sui poveri e della persecuzione. Nel febbraio 1980, l’arcivescovo indirizzò una lettera aperta al Presidente degli Stati Uniti, Jimmy Carter, invitando gli Stati Uniti di sospendere gli aiuti militari al regime. “Siamo stufi di armi e proiettili” – denunciò mons. Romero. Si ritiene che coloro che hanno organizzato il suo assassinio erano membri degli squadroni della morte salvadoregni, tra cui due laureati della Scuola delle Americhe.

“Il diritto alla verità è ora esplicitamente previsto dalla ‘Convenzione internazionale per la protezione di tutte le persone dalle sparizioni forzate’ (in .pdf), entrata in vigore nel dicembre scorso” – ricorda Ban Ki-moon nel suo messaggio per la giornata. “Conoscere la verità offre singole vittime e ai loro parenti un modo per restituire loro dignità e ed ottenere almeno un qualche rimedio per le loro perdite”. Il segretario delle Nazioni Unite ricorda inoltre che “conoscere e rendere pubblica la verità aiuta anche intere società ad assumere la responsabilità per le violazioni perpetrate. “E poiché il processo di determinazione della verità comporta spesso inchieste e la testimonianza pubblica di vittime e carnefici, esso può aiutare la catarsi e contribuire a produrre una storia condivisa di eventi che facilita il superamento e la riconciliazione”.

In Italia: da Ilaria Alpi a Stefano Cucchi

La “Giornata internazionale per il diritto alla verità sulle gravi violazioni dei diritti umani e la dignità delle vittime” avviene in Italia in una settimana in cui si ricorda l’assassinio di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin avvenuto a Mogadiscio, in Somalia, il 20 marzo 1994. “Un’esecuzione su commissione ” – afferma il sito dedicato ai due giornalisti. “Questo è quanto è emerso da tutte le inchieste giornalistiche, della magistratura e delle commissioni d’inchiesta che ne hanno evidenziato anche il movente. ‘Impedire che le notizie raccolte dalla Alpi e dal Hrovatin in ordine ai traffici di armi e di rifiuti tossici…venissero portati a conoscenza dell’opinione pubblica…’. Dunque traffici illeciti, che solamente organizzazioni criminali, la mafia, l’ndrangheta e la camorra possono gestire, come indagini di procure, specialmente calabresi, dichiarazioni di pentiti e collaboratori di giustizia hanno fatto emergere e su cui sta lavorando la commissione bicamerale d’inchiesta sui rifiuti tossici presieduta dall’on. Pecorella.

E, nell'aula bunker di Rebibbia, è iniziato proprio oggi il processo per la morte di Stefano Cucchi, il geometra 21enne che il 16 ottobre del 2009 venne fermato per una vicenda di stupefacenti e morì dopo sei giorni di detenzione nell'ospedale Sandro Pertini di Roma. Sono 12 gli imputati che a vario titolo dovranno rispondere della morte di Cucchi: si tratta di agenti della Polizia penitenziaria e personale medico e infermieristico dell'ospedale Sandro Pertini. Secondo l'accusa, Stefano Cucchi venne picchiato dagli agenti della Polizia penitenziaria mentre si trovava nelle celle di sicurezza dei sotterranei del tribunale di Roma, dove era stato portato per l'udienza di convalida del fermo. Morì il 22 ottobre successivo nel reparto detenuti del Sandro Pertini dove – sempre secondo l'accusa – non gli erano state prestate le cure minime pur essendo in uno stato di totale debilitazione anche a causa delle percosse subite. Se in ospedale gli fosse stato dato anche solo bicchiere d'acqua zuccherata non sarebbe morto.

Fonte: www.unimondo.org

24 marzo 2011

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