Ong, i muri alzati dalle parole
Ilvo Diamanti - La Repubblica
Nel linguaggio comune sempre più spesso le organizzazioni non governative vengono associate a respingimenti e barriere
ORMAI le Ong rischiano di cambiare significato. Non per colpa loro, ma di chi intende ri-definirle. Con intenti (anti)politici strumentali. È una questione di linguaggio, assai più che di contenuto sociale. Perché le parole non sono semplici simboli che “significano” la realtà. Ma contribuiscono, a loro volta, a “costruire” la realtà sociale. Oppure a modificarne il senso, dunque: la percezione. Così negli ultimi mesi – e non certo per propria scelta e responsabilità – Ong è divenuto un suono dagli echi ambigui e inquietanti. Che evoca la “deportazione” e il “riciclaggio” degli immigrati, nel nostro Paese.
ORMAI LE ONG rischiano di cambiare natura, ma, anzitutto, significato. È una questione di linguaggio, oltre che di contenuto sociale e reale. Perché le parole, l’ho già detto e lo ribadisco, non sono semplici simboli che “significano” la realtà. Ma contribuiscono, a loro volta, a “costruire” la realtà sociale. Oppure a modificarne il senso, dunque: la percezione, la definizione.
Così oggi le ONG stanno perdendo il significato di Organizzazioni Non Governative. E stanno diventando un suono dagli echi ambigui e inquietanti. Perché evoca il traffico di esseri umani. Peggio, il concorso alla “deportazione” e al “riciclaggio” degli immigrati, nel nostro Paese. Clandestini da sfruttare come braccia a basso costo. Oppure nei circuiti illegali. Dallo spaccio, al crimine organizzato, alla prostituzione. Esportati in altri Paesi. Se possibile. Perché i muri intorno a noi si ergono dovunque. Sempre più alti. Per renderci “stranieri in Europa”. E “a casa nostra”, come recitano gli slogan minacciosi che evocano l’invasione.
Anche se, nel luglio 2017, gli sbarchi dei migranti risultano in sensibile calo rispetto agli anni precedenti (dati Unhcr, confermati dal Quirinale, agosto 2017). D’altronde, la presenza degli stranieri supera di poco l’8%. Ma, nella percezione degli italiani, va oltre il 26% (come registra la ricerca di Nando Pagnoncelli Dare i numeri, EDB, 2016).
Gli stranieri: nella considerazione generale appaiono – tutti o quasi – in arrivo dall’Africa. Mentre le comunità più numerose provengono dai Paesi dell’Est europeo. Anzitutto, dalla Romania e dall’Albania. Dove le ONG italiane non sono presenti… Non organizzano sbarchi oppure viaggi “clandestini”. Per trasferire “clandestini”. Personalmente, quando sento parlare delle ONG, oltre alle sigle di cui tanto si parla, polemicamente, in questi giorni, penso al CUAMM. L’associazione dei Medici “con” l’Africa. Animata per oltre cinquant’anni da Don Luigi Mazzucato. Un crocevia della solidarietà fra l’Italia e l’Africa. Dove ha inviato oltre 1000 medici volontari, negli ospedali dell’area sub-sahariana. Fra le più colpite da malattia, miseria, povertà. Le origini principali delle grandi ondate migratorie che, da tempo, si dirigono in Europa. Perché i “migranti” non vengono da noi in gita. Attraversano il Mediterraneo, spinti dalla disperazione.
Oggi, ad esempio, nel Sud Sudan, fra le zone più colpite dalla miseria e dalle guerre, c’è il mio amico Vincenzo Riboni. Per decenni, primario al pronto soccorso di Vicenza. Per decenni, ha dedicato il tempo delle ferie e del riposo al CUAMM. Cioè agli “altri”. Ogni anno, ha trascorso settimane, mesi, in Sudan, ma anche in Mozambico e in Sierra Leone. Mentre infuriava Ebola. So bene che per qualcuno si tratta di un ultrà-solidarista. Più Ultrà che Solidarista. Che dovrebbe dedicarsi alle emergenze di casa propria (come, peraltro, ha sempre fatto) piuttosto che recarsi altrove. Ma io continuo a pensare che non sia così. Perché noi abbiamo bisogno degli altri per conoscere e ri-conoscere noi stessi. Non solo per generosità e per altruismo. Ma per auto-tutela, per auto-revolezza. Al CUAMM per questo, hanno dedicato molto tempo e opere importanti i miei amici Carlo Mazzacurati e Paolo Rumiz. D’altronde, come possiamo pensare di dare lezioni di con-vivenza quando non siamo in grado di dare aiuto a chi e dove ci è richiesto? Come possiamo pensare, noi stessi, di chiedere aiuto – e aiuti – agli altri “quando” e “se” ne avremo bisogno? Domani, ma anche oggi?
Così, non solo mi sento d’accordo con il testo scritto oggi da Roberto Saviano. Ma non riesco a capire come ci potremmo distanziare dalle sue parole. Che dovremmo fare? Lasciarli affondare? Meglio, dovremmo affondarli noi stessi? O infine: “Aiutarli a casa loro”, come si sente dire spesso? Nonostante che i nostri investimenti nei territori di crisi siano davvero minimi?
Personalmente, ritengo che dobbiamo accogliere e integrare, in modo serio: cioè garantendo loro inserimento ma anche affermando il rispetto delle nostre regole. Per non diventare, noi per primi, “stranieri in casa nostra”. Di fronte a noi stessi. D’altronde, gli immigrati, come rammenta Tito Boeri nel suo recente saggio ( Populismo e stato sociale, Laterza, 2017) contribuiscono a “pagare” le nostre pensioni. Soprattutto se sono integrati, nella società e nel lavoro.
Ma il problema, come ho scritto all’inizio, si complica, se le parole perdono il loro significato. Noi, infatti, abbiamo grande rispetto e fiducia verso la parola Volontariato. Molto meno verso ONG. Forse perché, detto così, in modo secco, ha un suono minaccioso. Basta aggiungere, all’inizio, una G. E diventa GONG.
Ma ONG, nel linguaggio degli italiani è lontano dal Volontariato. Lo conferma la Mappa delle Parole, realizzata attraverso un sondaggio di Demos-Coop, nelle scorse settimane. Solo un terzo di coloro che hanno fiducia verso il Volontariato dimostrano confidenza anche nelle ONG. Meglio: verso la parola ONG. Che, nella rappresentazione sociale, è associata a Ius soli e a Respingere gli Immigrati. Risulta, cioè, un simbolo di chiusura e di auto-difesa dagli altri. Mentre il Volontariato viene accostato, fino quasi a coincidere, a Cuore e Speranza. Detto altrimenti: si tratta di due mondi distinti e distanti. Da un lato: l’apertura. Dall’altro: i confini e le barriere. Anche se, ovviamente, nella realtà non è così. Perché le ONG sono soggetti di solidarietà, nei confronti di persone e popoli lontani. Il fatto che alcune ONG abbiano agito diversamente, perfino in modo opposto, non può indurre a generalizzare. A stigmatizzare un intero mondo associativo, impegnato a sostegno degli altri. Lontani eppure vicini.
Ma oggi ormai il problema si è radicato. Ha assunto significato nel linguaggio “politico”. Non per caso la parola ONG è deprecata soprattutto dagli elettori di destra, Lega, ma anche FI e FdI. Un orientamento che rischia di tradursi nel senso comune. Per questo è meglio intervenire presto. Subito. Per evitare che questa rappresentazione “faziosa” sedimenti. E dilaghi. Senza rimedio.
Così, io propongo di cambiare – presto e subito – etichetta. Basta con le ONG, Organizzazioni Non Governative. Chiamiamole Associazioni per il Bene Comune. ABC. Prime lettere dell’alfabeto della solidarietà e dell’integrazione. Vicino ma anche Lontano. Da casa nostra.
Ilvo Diamanti
6 agosto 2017